L’amore che non si può dire

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Calendario alla mano: il prossimo 16 maggio al Filmclub di Bolzano, in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia (che ricorre il 17 maggio), verrà proiettato Close, film datato 2022 del regista-sceneggiatore belga Lukas Dhont che al 75º Festival di Cannes si portò a casa il Grand Prix Speciale della Giuria.
Cos’è
I tredicenni Léo (Eden Dambrine) e Rémi (Gustav De Waele) sono inseparabili, passano l’estate sfrecciando in bicicletta, corrono con il vento nei capelli attraverso campi di fiori colorati, vanno spesso l’uno a casa dell’altro per cenare e dormire insieme e, senza le solite remore sull’affetto fisico tra ragazzi, condividono un’intesa totalizzante come solo a quell’età sembra possibile fare.
La loro amicizia però si incrina quando, iniziata la scuola superiore, i nuovi compagni prendono a deriderli per via del loro stretto legame, rompendo così l’idillio infantile in cui i due avevano vissuto fino a quel momento. Nel tentativo di integrarsi Léo sente a quel punto il bisogno di allontanarsi da Rémi e si unisce a una squadra di hockey sul ghiaccio con lo scopo di fare nuove conoscenze e mettere a tacere i pettegolezzi sul suo conto, finché non accade qualcosa che cambierà per sempre il suo rapporto con il migliore amico di lunga data.
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(c) Madman Films
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Com’è
Close è un coming of age che parla dei confini impalbabili che i giovani maschi sono condizionati a vedere tra loro e i rispettivi amici dello stesso sesso, della necessità di riconfigurarsi in cliché di mascolinità eteronormativi poiché schiacciati dalle pressioni sociali, dell’amore come sradicamento di quegli stessi confini percepiti.
Dribblando gli spoiler diremo che un trauma improvviso, che si presenta già alla fine del primo atto, sconvolge uno dei due protagonisti in un momento della vita in cui chiunque di noi ha a malapena imparato a elaborare qualsiasi tipo di emozione. Gran parte del film è costruito su questo colpo di scena e sulle inevitabili conseguenze dell’evento. Più interessante è invece la prima metà del racconto quando ci chiediamo che direzione prenderà l’amicizia fra Léo e Rémi, presto messa alla prova da un mondo ostile all’intimità maschile. Il film è clinico nella sua disamina delle cose terribili che accadono a persone che non hanno fatto nulla per meritarsele, ma la scelta di spingere a tavoletta sul pedale del melodramma restituisce più manierismo d’autore che uno sviluppo del suo reale potenziale emotivo.
Le interpretazioni di Dambrine e De Waele sono impeccabili nella loro naturalezza, e anche le loro controparti adulte non sono da meno: in particolare la madre di Rémi, Sophie, interpretata da Émilie Dequenne, che fu la protagonista adolescente di Rosetta dei fratelli Dardenne, recentemente scomparsa. Per finire l’occhio di Dhont per i dettagli e l’estetica pulita del film modulano questa visione vivida e commovente dell’identità adolescenziale. Lo struggimento è un superlativo assoluto: Close vuole tantissimo le vostre lacrime e probabilmente le avrà tutte. Sempre che la sua dipendenza da stratagemmi emotivi non vi rovini il gioco.
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