Una settimana a Srebrenica
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Il nuovo romanzo di Gianluca Battistel, Una settimana di luglio, è una lettura impressionante, una scossa a cuore e cervello che suscita commozione e indignazione, incredulità e rabbia, sgomento unito a un senso di avvilente impotenza.
È il racconto della strage di Srebrenica, nella Bosnia orientale, che si consumò ad opera dell'esercito serbo-bosniaco nel luglio del 1995. Costò la vita a oltre 8000 Bosniaci di religione musulmana (il numero esatto non si saprà mai), in massima parte uomini e ragazzi. Il Tribunale Penale internazionale per la ex Jugoslavia, la Corte internazionale di Giustizia, il ParlamentoEuropeo, l'Assemblea delle Nazioni Unite e molti stati nazionali tra i quali l'Italia riconoscono quella strage come genocidio.
Nel suo lavoro Battistel mostra bene come essa è maturata in appena tre anni, nelle parole, nelle menti, nelle azioni delle persone. Si annuncia nei Venti di guerra (titolo della prima sezione del romanzo) che soffiano da Slovenia, Croazia e Serbia dove sono già in atto pulizie etniche; si prepara nell'Assedio (titolo della seconda sezione) dei musulmani bosniaci asserragliati nella cittadina di Srebrenica; si compie durante la Fuga (terza sezione) dei disperati braccati dalle milizie serbe.
L'autore è dalla parte dei musulmani bosniaci, nel senso che racconta i fatti dal loro punto di vista. Mostra immedesimazione con le vittime di quella strage, ma senza i toni della partigianeria. Non tace, ad esempio, che anche le vittime sono capaci di efferatezze e che il nemico può avere le sue ragioni, ovvero può essere sinceramente convinto di averne. Ciò sposta ad un livello superiore la riflessione sulla guerra, sulla violenza e sulle trasformazioni che esse provocano nell'animo delle persone.
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Un saggio storico in forma di racconto
Battistel ricostruisce i fatti con una scrittura asciutta, essenziale. A tratti il libro è un saggio storico, sia pure presentato in forma di racconto. In parallelo a questo c'è l'intreccio tra la grande storia e le storie minori dei personaggi creati dall'autore e verosimilmente ispirati da persone conosciute durante i suoi viaggi nella regione. In queste pagine emerge lo scrittore che non racconta, ma mostra, mette in scena, ciò che accade a chi si è trovato in quell'inferno. Il professore che entra in classe e si accorge che mancano i bambini serbi; l'infermiera che vede l'ospedale trasformarsi in un lazzaretto; il soldato che in sogno riconosce nel nemico appena colpito il suo amico di infanzia... E poi una strage commessa dagli stessi Bosniaci assediati durante una sortita in un villaggio serbo, il sibilo delle granate, corpi dilaniati, fughe, sangue, fame, sete, malattie e sopravvissuti che vagano come fantasmi senza meta. Pagine di crudo realismo che ci mostrano cosa davvero sia quell'astrazione che chiamiamo violenza e a quali vette di crudeltà sia capace di arrivare una guerra etnica.
Come è potuto accadere? Dovremmo chiedercelo anche noi abitanti di una terra segnata da un conflitto etnico e attraversata da un confine culturale.
Dopo aver vissuto per decenni gli uni accanto agli altri nei paesi, nelle città e nelle famiglie, musulmani bosniaci, serbi e croati arrivano ad odiarsi e uccidersi. Come è potuto accadere?
La domanda diventa sempre più stringente avvicinandosi alla fine del libro. Ma i protagonisti restano per lo più senza risposte. Così Elmin, il professore, uno dei sopravvissuti, “incapace di comprendere le logiche che avevano spinto esseri umani a trasformarne degli altri in una distesa di ossa anonime”. Non resta che vivere per raccontare, sperando che forse si “troverà un senso, un senso che la vicenda di Srebrenica … sembrava aver disintegrato per sempre”.
Come è potuto accadere? Dovremmo chiedercelo anche noi abitanti di una terra segnata da un conflitto etnico e attraversata da un confine culturale. Oggi conviviamo pacificamente. Ma molti segnali, silenziosi o clamorosi mostrano che resta diffidenza reciproca tra altoatesini e sudtirolesi, e più generale tra italiani e tedeschi; ultimamente c'è andato di mezzo persino Jannik Sinner, accusato da una parte di essere un italiano “riluttante” e dall'altra di aver tradito il suo Vaterland. E segnali ancor più preoccupanti mostrano che già oggi la nostra società plurietnica è attraversata da nuovi conflitti, questa volta tra residenti e immigrati.
Il romanzo di Battistel è un potente richiamo alla realtà. Chiuso il libro, i fatti che ci fa rivivere trent'anni dopo bussano alla nostra coscienza. In Europa si è tornati a perseguitare e uccidere il prossimo in nome dell'identità etnica e di un credo religioso, mentre l'Unione europea, il “grande progetto di pace” nato dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, poco o nulla è riuscita a fare per evitare le carneficine. C'è molto di che riflettere.
Una settimana di luglio (Edizioni Alphabeta Verlag, 200 pp., 18.00 Euro)
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