Gesellschaft | Il sondaggio

Più sondaggi più “buoni spesa”

Dei 1.500 intervistati per il Barometro della sicurezza, l’80% proviene da un panel di persone iscritte volontariamente per partecipare a sondaggi. Un metodo diffuso ma solo parzialmente rappresentativo. Consulta integrazione: "No agli allarmismi".
Ulli Mair
Foto: Seehauserfoto
  • Dei 1.500 altoatesini intervistati per il Barometro della sicurezza 2025, 1.200 - ovvero l'80 percento - provengono da un panel online di persone che si sono iscritte volontariamente per partecipare a sondaggi in cambio di buoni spesa. È questa la metodologia ormai frequente nella ricerca statistica adottata anche dalla società rcm solutions srl, incaricata dall’assessora Ulli Mair di realizzare l’indagine sulla percezione della sicurezza in Alto Adige per contribuire a impostare misure in materia di sicurezza.

    Questa impostazione è comunemente utilizzata tra le aziende private di sondaggi, dice il sociologo Giuseppe Sciortino, docente all’Università di Trento (che tiene corsi anche presso l'Università di Bolzano), ma "rende il campione solo parzialmente rappresentativo della popolazione, poiché costruito su criteri limitati come sesso, età, lingua e distretto, ma non su variabili rilevanti in tema di immigrazione come orientamento politico o esperienze lavorative all’estero."  

    Il sondaggio sulla sicurezza, presentato martedì 28 ottobre, è stato affidato a una società privata  e non all’istituto provinciale di statistica ASTAT, per poter ottenere risultati in tempi rapidi ed è costato alla Provincia 38.500 euro più IVA. "A causa delle indagini già pianificate, ASTAT non sarebbe stato in grado di eseguire la rilevazione nel breve-medio periodo. Dato che i risultati dell’indagine possono contribuire a impostare le misure in materia di sicurezza e prevenzione della violenza previste nel resto della legislatura, si è ritenuto necessario eseguire l’indagine in tempi brevi," aveva spiegato l'assessora Mair rispondendo a un’interrogazione del Team K.

  • Punti spesa con il Panel Alto Adige: chi si iscrive alla piattaforma per partecipare ai sondaggi di rcm solutions riceve punti che possono essere riscattati presso i partner. Foto: rcm solutions
  • La società scelta si occupa da oltre vent’anni di ricerche di mercato e studi socio-politici, sia in Alto Adige che al di fuori dei confini provinciali. "L’obiettivo dello studio sulla sicurezza era comprendere come le cittadine e i cittadini altoatesini percepiscono la sicurezza nel proprio territorio," sottolinea Mathias Brugger, di rcm solutions. "Non sono state fornite indicazioni metodologiche o direttive specifiche sulle domande da porre; i contributi del Dipartimento si sono limitati alla definizione di alcuni ambiti tematici," conclude Brugger. Nel documento presentato in conferenza stampa la società spiega che ha condotto circa 1.500 di cui 300 telefonicamente e le restanti 1.200 online - ovvero selezionate dalla rcm da un gruppo di quasi 4 mila persone che già fanno parte di un panel registrate sul sito della società. 

    Come spiega il professor Sciortino, le aziende private utilizzano sempre più spesso i cosiddetti panel gruppi di persone che si iscrivono online e vengono osservate ripetutamente nel tempo, in parte perché è diventato sempre più difficile raggiungere le persone al telefono. Un panel consente inoltre di monitorare l’evoluzione delle opinioni o dei comportamenti di consumo nel corso degli anni. 

    Il panel utilizzato da rcm solutions si chiama Panel dell’Alto Adige. Per incentivare la partecipazione, ai volontari iscritti viene attribuito un punteggio in base al numero di sondaggi completati. I punti possono poi essere convertiti in buoni spesa da utilizzare presso i partner della società che ha condotto la ricerca. Ad esempio, si ottengono 50 punti (5 euro) al momento dell’iscrizione e un numero variabile di punti per ciascun sondaggio compilato, che possono poi essere riscattati in buoni presso catene come Despar, Pur e altri partner commerciali. Tra gli esempi citati di sondaggi effettuali utilizzando il Panel dell’Alto Adige la società indica quello recente sull’aereoporto di Bolzano, elaborato in partnership con la società di comunicazione succus e pubblicato dal quotidiano Dolomiten. La società aveva già usato il campione anche per un panel sulla sicurezza nel 2024 (ma sul sito non indica il committente).

  • Una delle domande poste dal sondaggio: il 53% degli altoatesini afferma che un numero crescente di persone di diverse etnie e nazionalità peggiori le condizioni di vita del nostro Paese. Foto: Provincia
  • "Il sondaggio sulla sicurezza l'ho trovato metodologicamente un po' bizzarro, nonostante i risultati che hanno ottenuto ampio spazio sui giornali locali siano abbastanza prevedibili perché in linea con quelli ottenuti nel resto d'Italia", osserva il professor Sciortino secondo cui sono diversi gli enti pubblici che, come la Provincia di Bolzano, si affidano agenzie private per svolgere dei sondaggi invece che all'ISTAT (o all'ASTAT a livello provinciale).

    "I media hanno dato molta rilevanza al fatto che gli altoatesini attribuiscano alla presenza di immigrati la responsabilità dell'insicurezza e della criminalità: in realtà questi dati non sono una novità per l'Italia - dice ancora Sciortino - e lo dimostrano ricerche degli ultimi venticinque anni. Quindi il sondaggio rivela ciò che si sa già: un atteggiamento che attribuisce all'immigrazione la causa di insicurezza e criminalità è molto diffuso. In molte altre ricerche il giudizio della popolazione italiana è negativo anche sul lavoro delle persone straniere. In Alto Adige non è così e la popolazione ritiene gli immigrati bravi lavoratori. Questa è sicuramente una novità".

  • “No a capri espiatori e semplificazioni”

    A conclusione della presentazione dei risultati del sondaggio, l'assessora Mair ha affermato che "la percezione della migrazione, citata in molte parti dello studio come il fattore più problematico per la sicurezza, così come le debolezze delle Forze dell’ordine e gli scarsi risultati della giustizia, sono verità scomode che dobbiamo affrontare. I dati non consentono di continuare come fatto sinora". Inoltre i risultati dell’indagine - che sondano le percezioni e non il numero di reati commessi e da chi - possono contribuire ad impostare le misure in materia di sicurezza. "Serve leggere i dati con attenzione e evitare allarmismi", sottolinea Erjon Zeqo, vicepresidente della Consulta provinciale per l'integrazione. "Abbiamo bisogno del lavoro dei migranti, della loro energia, della loro voglia di contribuire, ma questo deve andare insieme a risposte di integrazione efficaci, a politiche che non usino il tema come una clava per spaventare le persone, per alimentare panico o senso di minaccia basato su percezioni false o incomplete".

  • Erjon Zeqo: vicepresidente della Consulta provinciale per l'integrazione. Foto: Seehauserfoto
  • "È evidente che il tema della sicurezza provoca sensazioni molto forti: tuttavia credo che non vada affrontato con l’accetta, ovvero semplificando troppo e accostando automaticamente immigrazione, sicurezza e pene lievi come se fossero sempre e necessariamente fenomeni interconnessi", continua Zeqo. "Pensare che l’immigrazione sia di per sé la «causa principale della criminalità» è una visione distorta e strumentalizzata da una parte della politica. La paura produce consenso evidentemente. Lo studio riporta che il 59% degli intervistati indica «immigrazione eccessiva» fra le cause principali della criminalità. Ma ciò non significa che l’immigrazione diventi un sinonimo di insicurezza: serve fare molta più distinzione, leggere i dati con attenzione e evitare allarmismi", sottolinea Zeqo. "La sicurezza vera si costruisce con altri strumenti: inclusione, politiche sociali efficaci, percorsi di integrazione lavorativa e abitativa. Serve rafforzare le politiche abitative a bassa soglia, aumentare le opportunità che permettono ai nuovi arrivati di integrarsi e contribuire, con dignità, alla comunità. Serve inoltre garantire che ogni persona abbia un vero accesso all’abitazione, al lavoro, e che non si resti “in attesa” o esclusi, perché esclusione, marginalizzazione, precarietà sociale sono fattori che alimentano insicurezza nella cittadinanza. Se si vuole davvero migliorare la sicurezza - conclude il vicepresidente della Consulta integrazione - dobbiamo lavorare insieme, senza trovare capri espiatori e senza semplificazioni che fanno più danno che bene".