No al terzo mandato
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Nel penultimo giorno dell’anno arriva il deposito in cancelleria delle motivazioni della sentenza con la quale, il 5 novembre scorso, la Corte Costituzionale aveva accolto il ricorso del Governo contro la legge della Provincia di Trento che abrogava il divieto del terzo mandato per il proprio Presidente. La legge trentina veniva così dichiarata incostituzionale con il conseguente blocco del tentativo da parte di una quota consistente della maggioranza di aprire lo spazio per una rielezione, in occasione delle prossime provinciali, per il presidente Maurizio Fugatti. Un passaggio politico non certo indolore visto che esso ha segnato un fattore di scontro tra i due alleati principali della maggioranza, Lega e Fratelli d’Italia, con l’abbandono del gruppo consiliare, tra l’altro, di diversi esponenti di FdI.
Della questione si era discusso parecchio anche in provincia di Bolzano, che pure, a livello provinciale, non è toccata dalla questione visto che, in base a precise norme statutarie, le elezioni provinciali si svolgono sulla base di un rigido sistema proporzionale con l’elezione del Presidente affidata al Consiglio. Il tema semmai era affiorato a livello politico nei mesi precedenti quando erano stati alcuni sindaci, tra cui quello di Bolzano Caramaschi, a perorare, ma senza risultati, la causa di un’abolizione del divieto del terzo mandato.
Si era detto, a novembre, che occorreva attendere il deposito delle motivazioni anche per capire quali sono le convinzioni dei giudici costituzionali su un tema particolarmente delicato: quello dell’ambito di applicazione dei principi generali dell’ordinamento come limiti insuperabili anche per i poteri di legislazione primaria delle Province e Regioni a statuto speciale. È da una serie di pronunce della Corte che sono scaturite quelle famose “limature” delle competenze altoatesine che ora si vorrebbero recuperare con la Legge Costituzionale in fase di discussione in parlamento, proposta dal Governo sulla base di un’intesa con la Südtiroler Volkspartei.
Ecco quindi la sentenza firmata dal Presidente Giovanni Amoroso e redatta dal relatore Giovanni Pitruzzella. Qui il testo integrale per chi volesse analizzarla per intero. Una sia pur sommaria sintesi giornalistica, cui seguiranno probabilmente le più compiute analisi degli esperti giuristi, non può non far notare come i giudici della Consulta abbiano in sostanza ribadito un principio già espresso, da loro stessi, in numerose sentenze. La questione di sostanza è quella secondo cui, per la Corte, sia pienamente giustificato un principio come quello che fa divieto nelle amministrazioni i cui vertici politici sono eletti direttamente, di prolungare questa designazione oltre il secondo mandato. Questo per evitare fenomeni di eccessiva concentrazione nel tempo di poteri così ampi come quelli che vengono attribuiti al Sindaco o al Presidente. È un principio, come spiegano qui di seguito i giudici, che non può soffrire eccezioni territoriali che creerebbero disparità non altrimenti giustificate. Ecco il testo.
Con la recente sentenza n. 64 del 2025 – a proposito dell’art. 2, comma 1, lettera f), della legge n. 165 del 2004 adottata per le regioni ordinarie in attuazione dell’art. 122, primo comma, Cost. – si è chiarito che quanto affermato per i sindaci vale, «a fortiori, per i Presidenti di Giunta regionale eletti a suffragio universale e diretto, dato che costoro […] assommano in sé ampi poteri, sino al punto che in dottrina la relativa forma di governo è anche stata definita “iperpresidenziale”».
[…]
Nella medesima sentenza si è aggiunto che anche per i presidenti di giunta regionale il legislatore ha considerato il divieto del terzo mandato consecutivo, da un lato, un temperamento di sistema rispetto all’elezione diretta del vertice monocratico, cui fa da «“ponderato contraltare”»; e, dall’altro, «un bilanciamento tra contrapposti principi», ossia un «delicato punto di equilibrio» tra il diritto di elettorato passivo e il diritto di elettorato attivo, nonché gli interessi riconducibili alla genuinità della competizione elettorale e alla generale democraticità delle istituzioni.
Tale scelta legislativa, proprio per la sua ratio e per la natura dei diritti e degli interessi coinvolti, una volta compiuta, non può che imporsi, quale principio fondamentale, in condizioni di «uniformità normativa, su tutto il territorio nazionale» (ancora, sentenza n. 64 del 2025).
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L'applicazione anche alle autonomie speciali
Una volta stabilito il criterio in questione, affermato che esso viene a far parte dei cosiddetti principi generali dell’ordinamento, ne discende il passaggio logico successivo con la doverosa applicazione del principio anche alla legislazione delle autonomie speciali. Di nuovo il testo della sentenza.
Il divieto in questione si impone alle ricordate autonomie speciali anche a tutela del principio costituzionale di eguaglianza nell’accesso alle cariche elettive, che parimenti assurge a limite della loro competenza legislativa primaria in materia elettorale.
Il rispetto di tale limite non comporta il disconoscimento di quella potestà legislativa, «“[…] ma significa tutelare il fondamentale diritto di elettorato passivo, trattandosi ‘di un diritto che, essendo intangibile nel suo contenuto di valore, può essere unicamente disciplinato da leggi generali, che possono limitarlo soltanto al fine di realizzare altri interessi costituzionali altrettanto fondamentali e generali, senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadino e cittadino, qualunque sia la Regione o il luogo di appartenenza’ (cfr. ex plurimis sentenza n. 235 del 1988)” (sentenza n. 143 del 2010; in termini, sentenze n. 288 del 2007, n. 539 del 1990 e n. 189 del 1971)» (sentenza n. 60 del 2023).
Come questa Corte ha già affermato, del resto, le autonomie speciali, nel disciplinare le cause di ineleggibilità e incompatibilità, per quanto rimesse alla loro competenza legislativa primaria, sono comunque tenute al rispetto dei principi enunciati dalla legge n. 165 del 2004 che siano «espressivi dell’esigenza indefettibile di uniformità imposta dagli artt. 3 e 51 Cost.» (sentenza n. 143 del 2010; nello stesso senso, sentenze n. 148 del 2025, n. 134 del 2018 e n. 294 del 2011).
Tra questi principi, per le ragioni già esposte ai punti 5, 6 e 7 – ossia per la sua ratio di temperamento di sistema dell’elezione diretta e di punto di equilibrio tra contrapposti diritti e principi fondamentali – deve annoverarsi quello del divieto del terzo mandato consecutivo recato dal citato art. 2, comma 1, lettera f).
Questi alcuni tra i passaggi chiave della motivazione depositata oggi e che entra di diritto a far parte piena di una giurisprudenza che si pone ormai chiaramente come un terzo vertice del triangolo in cui si iscrive il dibattito sul presente e sul futuro delle autonomie e in particolare di quella speciale che riguarda l’Alto Adige.
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