Non è semplice prendere posizione sulla guerra in Ucraina, tale è lo strepito delle contrapposte propagande. Proviamo a mettere in fila qualche spunto di riflessione.
Il conflitto nella regione prevalentemente russofona del Donbass scoppiò nel 2014, dopo la rivolta filooccidentale di Euromaidan iniziata nel novembre 2013 che culminò nella defenestrazione del presidente filorusso Janukovyč. Il nuovo governo di Porošenko revocò le autonomie concesse dai governi precedenti, fortemente limitando anche l’utilizzo e l’insegnamento della lingua russa nelle regioni di Donetsk e Luhansk. Lasciò profonda impressione il tragico epilogo degli scontri di Odessa del 2 maggio 2014, in cui nazionalisti ucraini incendiarono la Casa del Sindacato ricolma di manifestanti filorussi provocando la morte di 42 persone.
Sul piano più generale delle dinamiche geopolitiche andrebbe inoltre ricordato che dopo la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica i leader dei maggiori paesi della NATO assicurarono la Federazione Russa che l’Alleanza atlantica non sarebbe avanzata verso Est nemmeno di un centimetro. Eppure, negli anni successivi la NATO si estese ad Albania, Bulgaria, Croazia, Estonia, Lettonia, Lituania, Macedonia del Nord, Montenegro, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia, Slovacchia e Ungheria.
Evocare questi fatti significa simpatizzare per Putin? Nient’affatto. L’invasione del 24 febbraio 2022, che va intesa a tutti gli effetti come pura guerra di aggressione, non trova alcuna giustificazione né in una presunta minaccia militare dell’Ucraina alla Russia, né nel sostegno alle pur legittime istanze della minoranza russa in Donbass, né nella narrativa delirante della denazificazione del paese (pur senza ignorare l’ispirazione nazista del famigerato Battaglione Azov). La brutalità distruttiva dell’invasione russa ha devastato intere città, le stragi di civili non si contano più e sono ampiamente documentate atrocità di ogni genere, tra cui la scoperta di numerose camere di tortura.
Quindi, che fare? Il rifiuto di una rappresentazione caricaturale che ammette soltanto categorizzazioni manichee non coincide con l’assunzione di una neutralità equidistante. La condanna dell’invasione russa come guerra di aggressione non implica la rimozione delle cause profonde del conflitto in Donbass, così come il riconoscimento dei diritti calpestati della minoranza russa in Ucraina non implica alcuna indulgenza verso i crimini di Putin. Varrebbe forse la pena rivisitare la storia dell’ex Jugoslavia, dove il veleno del nazionalismo disgregò un modello esemplare di convivenza interculturale anche grazie alla complicità dei governi occidentali, protagonisti attivi nella deflagrazione del conflitto. Se quella lezione fosse stata recepita, l’Europa oggi forse non sarebbe ridotta ancora una volta a osservare un’immane tragedia sul proprio continente, irrimediabilmente incapace di prevenirla e di indicare una via d’uscita.