"Io, un 'compagno' di confine"

Tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, per un lavoratore di lingua tedesca era molto difficile ā per non dire quasi impossibile ā essere assunto nelle grandi fabbriche della zona industriale di Bolzano. Oggi si fa fatica ad immaginarlo ma allora il āghetto italianoā era letteralmente off limits pure per i sindacalisti di lingua tedesca. Tra i primi a metterci piede vi fu Josef Perkmann (il primo a sinistra nella foto di apertura, didascalia completa in fondo, ndr) che in pochi anni, appoggiato in particolare da Marco Garau, riuscƬ a fare della Cgil un sindacato progressivamente sempre piĆ¹ interetnico. Amico di Langer ai tempi di Die BrĆ¼cke, Perkmann fu senza dubbio uno dei pochi āsaltatori di muriā di quel periodo. Cinquantāanni fa, nel 1973, divenne il primo co-segretario di lingua tedesca della CGIL, che da quel momento iniziĆ² a chiamarsi anche AGB. Oggi, a 79 anni, lāex sindacalista traccia un bilancio della sua attivitĆ politico sindacale.
A quel punto ho tracciato una linea rossa invalicabile che era quella della violenza politica. Ho iniziato ad avere posizioni pacifiste, antifasciste e antinaziste.
Salto.bz: Perkmann, quando ĆØ cominciata la sua attivitĆ politica e sindacale?
Josef Perkmann: Nel 71 ho iniziato lāattivitĆ politica e la vita matrimoniale, ma mi sono sempre interessato di politica anche prima, pur senza ricoprire ruoli importanti. Io sono uno di quei comunisti che veniva dalla parrocchia. Chi mi ha aperto la porta per accedere alla scuola, che doveva essere aperta a tutti ā allora sulla carta - era la Chiesa, che mi ha mandato a 14 anni nel seminario vescovile della diocesi di Trento, che si trovava nel bel paesotto di Tirolo sopra Merano e si chiamava Johanneum. In prima media eravamo in 42 e tutti avevamo in qualche modo lāintenzione di diventare preti di campagna. Alla fine solo due hanno raggiunto questo obiettivo. Tutti gli altri sono diventati operai, artigiani, negozianti, giuristi, medici e bravi impiegati. Ora siamo rimasti in pochi, ma siamo ancora amici e ci troviamo ogni tanto. Per la nostra estrazione sociale questo percorso attraverso le istituzioni ecclesiastiche era quasi lāunico modo per avere accesso ad una formazione culturale oltre il livello elementare. Dopo i cinque anni presso il Johanneum ho fatto il liceo classico a Merano e lƬ ho iniziato a interessarmi di politica. Al liceo non si parlava apertamente di politica perĆ² tra amici e al di fuori se ne parlava. Al tempo c'era una forte politicizzazione soprattutto di destra perchĆ© negli anni ā63 ā64 si era nel pieno degli attentati ai tralicci. Per dirne solo una, non poteva sfuggirci che noi dovevamo entrare in classe mezz'ora prima degli italiani, perchĆ© altrimenti, ci spiegavano, āarrivate alle maniā. La mia formazione politica ĆØ iniziata lƬ, perchĆ© a quel punto ho tracciato una linea rossa invalicabile che era quella della violenza politica. Ho iniziato ad avere posizioni pacifiste, antifasciste e antinaziste. Mi sentivo di sinistra ed ero sicuro che non avrei mai avuto un fucile in mano. AllāuniversitĆ come studenti sudtirolesi avevamo un gruppo organizzato, come del resto tutti gli studenti provenienti dai vari LƤnder, compresi i tirolesi (noi eravamo i figli del ādecimoā Bundesland), ma non eravamo isolati, eravamo quelli della ācampagnaā che si distinguevano al massimo dai āViennesiā perchĆ© metropolitani. Nella SĆ¼dtiroler HochschĆ¼lerschaft di allora cāerano Bruno Hosp, Luis Durnwalder ā¦ e tra di noi cāerano anche quelli che facevano il tifo per Klotz, Amplatz e gli altri terroristi. Io ero tra quelli che ritenevano sbagliato il ricorso alla violenza ed allo stesso tempo non avevo fiducia che le trattative per la nuova autonomia potessero andare in porto. Se devo essere sincero sono rimasto scettico fino al 72. A Vienna ho provato a prendere contatti con i giovani socialisti intorno a Bruno Kreisky ma era difficilissimo. Noi eravamo i "tirolesi" e bollati quindi come "conservatori di provincia".
Le piace: Perkmann, il compagno uscito dalla parrocchia?
Un compagno "di confine" mi piacerebbe di piĆ¹, perchĆ© pur essendo nato in un ambiente molto cattolico e molto contadino ho sviluppato una forte curiositĆ per gli āaltriā, per coloro che erano al di lĆ dei confini tracciati dai āmieiā. Volevo sapere chi sono āgli italianiā descritti come cattivi, furbi, oppressori e ānemiciā della nostra gente. Quindi ho guardato oltre la frontiera etnica senza sapere quasi niente degli italiani e dellāItalia, e ho trovato uomini e donne e non solo carabinieri, fascisti e furbacchioni. Volevo anche sapere chi sono i ācomunistiā che per sentito dire erano piĆ¹ cattivi degli italiani, portavano via ai contadini lāultima vacca e facevano fare la fame ai prigionieri di guerra, tra i quali vi erano anche parecchi figli dei masi vicini. Ho avuto la possibilitĆ di conoscere anche i comunisti, non solo quelli italiani, ma anche qualcuno dellāest europeo, in particolare della DDR, quelli del Cile e della Francia. Passando la cortina di ferro che ci separava dai paesi comunisti dellāEst, e non accontentandomi della propaganda di turno, ho capito che i comunisti avevano tante buone ragioni per essere arrabbiati e che erano portatori di grandi speranze. Gli uomini e le donne comuniste mi hanno impressionato tanto che sono diventato uno di loro.
Torniamo al suo percorso di formazione. Da Vienna poi lei ĆØ arrivato a Padova, giusto?
SƬ esatto, mi sono iscritto a Giurisprudenza a Padova. I sudtirolesi erano una cinquantina e devo dire che allāepoca eravamo parecchio isolati. Era perfino difficile invitare qualche ragazza āItalianaā al nostro piccolo ballo di Carnevale ... . Gli italiani ci chiamavano ātritolesiā e noi allāinizio ci sentivamo a casa del nemico. Ma dovevamo formarci e quindi abbiamo fatto un compromesso, e per un po' siamo rimasti chiusi nel nostro ghetto tirolese. Nei primi mesi del 68 siamo stati avvicinati dai maoisti padovani come Elio Franzin e il professor Quaranta (autori, nol 1970, del libro "L'attentato e lo scioglimento del parlamento" edito da Giovanni Ventura) e anche se eravamo scettici ci hanno un poā abbindolati. Cāera anche qualche ex partigiano e per noi quello era diventato il solo ambiente amichevole. Ci vedevamo alla mensa della Cgil, dove si mangiava bene per poco. āAndiamo a mangiare dai comunistiā, ci dicevamo. Da rappresentante del gruppo degli universitari sudtirolesi di Padova ho scritto qualche articolo sul Dolomiten per dire che le proteste studentesche avevano un fondamento, e anche se la redazione del giornale era scettica, ho cercato di spiegarne i motivi. Poi ad un certo punto anche alla SĆ¼dtiroler Hochschuelerschaft sono cominciati a venire fuori dei nuovi volti e i primi fermenti. Era uso e costume chiamare dei relatori per fare lezioni per gli studenti. Allora ovviamente era obbligatorio chiamare qualcuno della Volkspartei. Dietl non venne, ma venne invece Alfons Benedikter e ci fece una buona impressione, e cosƬ Reinhold Steger, allora assessore all'agricoltura, che ci piacque ancora di piĆ¹ perchĆ© tutti quanti eravamo in qualche modo di estrazione rurale. A quel tempo ho conosciuto anche Alex Langer, che studiava a Firenze. Il presidente della SH era Luis Durnwalder e Langer lo contestava con decisione. Noi padovani allora ci eravamo schierati in buona parte con Langer.
Fu allora che avete organizzato il celebre convegno āinteretnicoā?
SƬ, nel 68 la SH ha organizzato un convegno di studi prima in Austria e poi a Bressanone. Al convegno austriaco, durante la relazione molto tradizionalista del vicecapitano del Tirolo, che stava molto stretta a molti dei partecipanti, vennero Langer e Siegfried Stuffer con dei cartelli a protestare contro quel tipo di convegno. LƬ ho preso i contatti con loro che facevano la BrĆ¼cke e dopo poco sono entrato nel gruppo redazionale. La seconda parte di quel convegno venne fatta alla Cusanus di Bressanone. Il direttivo aveva stranamente incaricato me di organizzare tutto. Ho cosƬ cercato di allargare la platea degli interlocutori. Mi sono detto: se vogliamo sapere chi siamo e che cosa ĆØ lāAlto Adige, dobbiamo sentire anche gli altri: gli italiani e i comunisti. Quindi ho invitato come relatori democristiani, socialisti e comunisti italiani, cioĆØ Lidia Menapace, Anselmo Gouthier e Claudio Nolet accanto a personaggi di provata origine tirolese, sorpassando volutamente il tabu degli āitalianiā e della āsinistraā. Quando il Dolomiten vide gli invitati, il giorno prima dellāinizio del convegno Toni Ebner fece un editoriale in cui mi bollava come comunista e anarchico di cui non ci si poteva fidare. Il convegno fu affollatissimo. Si trattĆ² del primo confronto tra ādiversiā.
Una parte dei redattori di lingua tedesca di Die BrĆ¼cke aveva una visione piĆ¹ patriottica. Io ed anche Langer, forse perchĆ© avevamo studiato in italia, avevamo una visione piĆ¹ aperta
Come descriverebbe lāesperienza in Die BrĆ¼cke?
Fu unāesperienza importante. Nellāestate ā68, prima del convegno, scrissi un articolo dedicato al mondo contadino intitolato Poverty class in cui criticavo aspramente il piano Mansholt (vicepresidente della Commissione europea con delega allāagricoltura) che favoriva gli agricoltori con grandi appezzamenti e colture intensive a scapito dei āpiccoliā. Lāarticolo fece molto clamore e si accese un grande dibattito... Die BrĆ¼cke non era un gruppo politico e non si andava dāaccordo su tutto. Quello che ci accomunava ĆØ che eravamo tutte persone a cui andava stretta la mentalitĆ ristretta di allora. Langer aveva la leadership āpoliticaā completa ma non tutti erano dāaccordo con lui. Alex, ad esempio, ha lavorato per fare di Die BrĆ¼cke un prodotto bilingue, ma su questo punto ĆØ stato molto contrastato da Siegfried Stuffer e Josef Schmid (nomi corretti alle 7.56, ndr) . Io, come Langer, ero convinto che dovevamo trovare il modo per comunicare anche col mondo italiano, ed ĆØ quello che ho cercato di fare a partire da quel convegno della SH. Il filo che univa molti, italiani e tedeschi, a partire da Langer, era lāessere dei comunisti usciti dalle parrocchie. Ma a livello redazionale dentro a Die BrĆ¼cke questo non funzionava sempre bene. Una parte dei redattori di lingua tedesca aveva una visione piĆ¹ patriottica. Io ed anche Langer, forse perchĆ© avevamo studiato in italia, avevamo una visione piĆ¹ aperta, e per alcuni eravamo dei traditori. Nel frattempo era scoppiato il ā68. Abbiamo subito visto che cāera gente facilmente disposta a superare la linea rossa della violenza. E anche i maoisti a quel punto non ci sono andati piĆ¹ a genio. PiĆ¹ di qualcuno aveva cercato ripetutamente di strumentalizzarci. Alcuni vedevano in noi un anello di congiunzione con Klotz e Amplatz per far scattare la rivoluzione in Alto Adige ā¦.
Questo era anche il convincimento di Giangiacomo Feltrinelli, lāeditore deceduto per lo scoppio di un ordigno ai piedi di un traliccio dellāalta tensione nel 1972.
SƬ, esattamente. A Padova cāerano dei personaggi che ci vedevano come dei possibili galoppini per creare contatti con i terroristi sudtirolesi degli anni 60. CosƬ ho interrotto brutalmente i contatti con quel mondo. In quegli anni abbiamo anche dovuto difenderci da qualche tentativo di avvicinamento da parte dei servizi segreti, che non erano poi cosƬ bravi a restare segreti. Non ci siamo cascati anche grazie alle esperienze e i contatti viennnesi, in particolare con Claus Gatterer, che ci ha dato qualche consiglio. Nel 69 fui per lāappunto tra gli invitati ad un seminario politico condotto da Giangiacomo Feltrinelli a Mazzon di Egna. Anche lui fece delle proposte piuttosto preoccupanti, perchĆ© era convinto che qui in Alto Adige, zona calda, si sarebbe dovuti partire con una ribellione che poi doveva diventare armata ā¦ Io la lotta armata non volevo neanche sentirla nominare. Feltrinelli ci era parso un borghese che voleva giocare alla rivoluzione anche a nostre spese. Qualche tempo dopo, Alex Langer, durante un viaggio in macchina, mi disse che sarebbe entrato in Lotta continua. A me quel movimento non piaceva. Mi avvicinai quindi alla FGCI e al Psiup. Il perimetro era quello, per me. Mi sentivo di orientamento socialdemocratico: Willy Brandt per me era un personaggio affidabile. E cosƬ anche i leader del PCI, Longo e poi Berlinguer. Questi per me erano politici in gamba. Noi eravamo coscienti che come sudtirolesi saremmo stati al sicuro se in Italia avesse tenuto la democrazia e quindi ci appoggiavamo alle forze di sinistra democratiche.
Comunque lei allora era indeciso se entrare nel partito comunista o nel PSIUP?
SƬ, ma la scelta la feci giĆ a Padova e mi decisi per il PCI e a livello sindacale per la CGIL. Purtroppo nellāimpazzimento del 1968 mollai gli studi di Giurisprudenza quando mi mancavano tre esami. Poi ho perso il diritto alla borsa di studio, ed essendo alle strette finanziariamente, andai insegnare. Cercavano tanti supplenti, quindi sono andato a insegnare tedesco e geografia alla scuola media appena istituita a Lana. E da lƬ la CGIL mi ha fatto una proposta di iniziare a lavorare all'ufficio vertenze. Poi gli esami universitari li ho fatti a 60 anni. CiĆ² che mi ha impressionato di piĆ¹ ĆØ che dopo 40 anni sono riuscito a far riconoscere tutti gli esami e ho fatto gli ultimi tre che mi mancavano. Ma allāuniversitĆ ho scoperto che cāera lo stesso andazzo che avevo lasciato 30 anni prima e quindi ho fatto buon viso a cattivo gioco. Mi sono laureato e buonanotte.
Sappiamo comāera il clima nei primi anni Settanta a Milano, ma anche a Padova. E a Bolzano? Che aria tirava?
Il clima di tensione c'era anche a Bolzano, ma ovviamente non ai livelli di altre cittĆ . La rabbia per le stragi che allora giĆ definivamo "di stato" era fortissima. Ma il confine della violenza, anche in piazza, per quasi tutti era invalicabile. PuĆ² essere che qualcuno anche da noi pensasse di reagire imbracciando il fucile, ma io sono sempre andato in piazza con lāintento di sostenere le cause di una convivenza civile.
Peraltro, lei, da attivista sindacale e membro del PCI era considerato un venduto da parte della sinistra extraparlamentare.
Esattamente. Nelle manifestazioni cāera sempre qualche tensione. Noi eravamo ad esempio contrari a usare immagini forti come i padroni impiccati. La CGIL allāepoca aveva una posizione molto chiara. Il nostro garante era Marco Garau (scomparso nel 2018 a 90 anni), il segretario provinciale piĆ¹ ascoltato dai comunisti. Era un vero personaggio, molto preparato, che aveva fatto tre anni di Accademia Sociale a Mosca, mandato dal PCI, e non era per niente dogmatico. Garau era uno di quelli con i quali si poteva discutere e analizzare oggettivamente le situazioni. Non era molto popolare, perĆ², tra i movimentisti della sinistra extraparlamentare, che lui chiamava i gruppettari, ārivoluzionari del sabato seraā. Garau anche in questo caso per me fece testo.
Lei e anche i suoi compagni del PCI e della Cgil vi sentivate si sinistra-sinistra. Come vivevate questi attacchi dalla sinistra extraparlamentare?
Con grande pazienza. Conoscevamo le nostre pecore, Bolzano ĆØ piccola. In Alto Adige le frizioni cāerano ma forse un poā meno accentuate che altrove. La sinistra extraparlamentare anche qui cercava di inasprire la lotta, ma realtĆ come le Brigate rosse, che in certe aree industriali godevano di grande seguito, qui da noi avevano un basso numero di simpatizzanti. Gli insulti che provenivano dallā estrema sinistra ā che cosƬ estrema poi non era nemmeno, piuttosto di buona famiglia e un poā parolaia - ci impressionavano modestamente. Gli attacchi piĆ¹ feroci provenivano in realtĆ dalla destra tedesca locale, dalla āWehrmachtgenerationā, che ci accusava di ben altre cose, di essere i traditori della patria, i portaborse degli italiani nazionalisti camuffati di retorica di sinistra, di essere delle pedine della DDR e comunque nemici di tutti quelli che riuscivano a farsi una prima casa. Noi della Cgil ci siamo difesi, dicendo che eravamo ben dei comunisti, rossi e combattivi, ma in questo modo tra i lavoratori sudtirolesi si spargeva anche la voce che bisognava andare dai ācomunistiā per vincere una causa di lavoro. Abbiamo trasformato il nostro punto debole in un punto di forza, che i nostri avversari non si aspettavano. Abbiamo iniziato ad avviare lāattivitĆ sindacale nelle fabbriche delle valli per raggiungere i nuovi lavoratori di lingua tedesca, e far capire che cosa prevedeva, ad esempio, lo Statuto dei lavoratori da poco approvato. Allāinizio ci guardavano strano ma poi ĆØ andato tutto abbastanza bene. Eravamo ben amalgamati. Cāera qualcuno di noi che aveva la quinta elementare e si era formato con qualche corso sindacale nella DDR. Ma io ad esempio ero diventato piuttosto bravo a fare i volantini avvalendomi della collaborazione di un compagno che aveva per lāappunto la quinta elementare. Gli ho dato il testo da leggere e ho cambiato le frasi fin quando gli piacevano. Quando il volantino o la notizia piaceva a lui, di solito piaceva anche agli altri. E di volantini ne abbiamo fatti parecchi.
Siamo stati una famiglia di lingua tedesca interessata alla cultura italiana. Oggi mio figlio ha ad esempio fatto fare a mio nipote lāasilo italiano, e la cosa funziona.
Ma ĆØ vero che lei invece delle ninne nanne cantava ai figli le canzoni della resistenza, delle mondine e dei cantautori della sinistra?
(Ride di gusto). SƬ, io e mia moglie eravamo molto interessati alla cultura della sinistra italiana di quegli anni. Noi ascoltavamo molta musica, suonavamo i dischi della Resistenza, Bella ciao, il folklore di sinistra e molti cantautori di quellāepoca. Quindi, sƬ, confermo, i miei figli possono aver sentito spesso quelle musiche. Siamo stati una famiglia di lingua tedesca interessata alla cultura italiana. Oggi mio figlio ha ad esempio fatto fare a mio nipote lāasilo italiano, e la cosa funziona. Lāaltro giorno il piccolo ĆØ venuto da me e mi ha detto: ānonno, ti faccio vedere una cosa strabilianteā. Mi sono stupito della sua buona pronuncia. Permettendosi questo lusso tra le nostre montagne tirolesi si puĆ² rischiare lāaccusa di essere un traditore della patria, di essere un tifoso dellāitalianitĆ , ma lo considero un rischio culturale, che si puĆ² tranquillamente correre.
Come si arrivĆ² alla CGIL/AGB?
Quando tornai da Padova a Bolzano, vari esponenti Svp mi chiesero di entrare nel loro partito, ma non me la sentivo. Nemmeno Egmont Jenny mi convinceva. CosƬ mi avvicinai subito al PCI e alla Cgil. I rapporti tra italiani e tedeschi allāepoca non erano facili quasi da nessuna parte, neppure nel sindacato. Gli italiani della Cgil erano spesso molto āitalianiā e legati alle province di provenienza, si trovano spaesati. Ancora negli anni Settanta nella zona industriale di Bolzano chi portava un cognome tedesco non entrava, le porte erano chiuse. Le assunzioni venivano fatte tra italiani. E lo stesso in molti posti pubblici, come nelle Ferrovie, e cosƬ anche per le assegnazioni delle case popolari. Ci ĆØ voluto parecchio tempo perchĆ© noi potessimo andare tranquillamente nella zona industriale. Cāerano anche molti esponenti dei partiti di lingua tedesca, anche di sinistra, che ci criticavano per la nostra attivitĆ sindacale. Ma in realtĆ crescemmo in fretta. Era il periodo in cui in Germania il Sudtirolo si presentava come una terra dei salari bassi (Niedriglohnland) e diversi imprenditori tessili provavano a insediare le loro fabbriche perchĆ© le lavoratrici non erano sindacalizzate. Abbiamo lottato con una serie di vertenze alle quali ĆØ seguita la chiusura delle fabbriche e il Dolomiten ci ha criticato pesantemente perchĆ© eravamo dei nemici della industrializzazione. Ma era giusto rifiutare sin dallāinizio quella prassi di politica salariale. Nel 1973 la CGIL ha cercato di uscire dalla stretta cerchia della zona industriale di Bolzano per diventare un sindacato di tutta la provincia. Anche per me da quellāanno in poi sono cambiate le cose. Dovevo seguire alcune categorie minori come i tessili, i chimici e i tipografi, ma nel contempo lavoravo giĆ per la Camera del Lavoro affiancando Giuseppe Tinaglia nella Segreteria Provinciale della CGIL/AGB, che aveva cambiato la sua denominazione, presentandosi con la sigla bilingue per marcare lāintenzione di essere un sindacato di tutti i gruppi etnici.
Lāesperienza nel PCI come ĆØ stata?
La mia esperienza nel PCI ĆØ stata piuttosto deludente. Ho fatto per 5 anni il consigliere comunale a Bolzano, fino al 1985. Ho presto capito che la cosa non poteva reggere perchĆ© ero costretto ad essere votato dall'elettorato italiano e di conseguenza dovevo rispondere anche allāelettorato italiano. Mi ero reso conto che per essere coerente con me stesso per le Provinciali dell'83 avrei dovuto dichiararmi italiano e battermi per la causa āitalianaā. Quando i fascisti sono andati a fare i conti e hanno iniziato a dire: se date il voto ai tedeschi Perkmann e Langer gli italiani perdono 2000 posti di lavoro in provincia, la faccenda si ĆØ complicata parecchio. E non era neanche una balla, nessuno poteva dire che non fosse vero. La proporzionale in Provincia era calcolata in quel modo lƬ. Ad ogni modo non mi dichiarai italiano. E non fu una buona idea candidarmi con il PCI, lāesperimento di votare un italiano e un tedesco non funzionĆ² anche perchĆ© nel PCI di Bolzano non tutti erano dāaccordo. Il partito poi perse parecchi voti e mancammo lāelezione del terzo consigliere, che avrei dovuto essere io, per 500 voti. Dopo il 1985 uscƬi dal partito e non tornai neppure nel sindacato, anche se ovviamente me lo chiesero.
PerchƩ?
PerchĆ© non volevo tornare nel sindacato con il peso di un fallimento politico. Non cercavo nĆ© un posto sicuro, nĆ© un salvataggio comodo dopo unāavventura politica fallimentare. Quindi sono uscito del tutto e mi sono messo a lavorare nel settore bancario/assicurativo, il che non era facile. Sono rientrato nel sindacato pensionati della CGIL/AGB dopo il mio pensionamento come semplice iscritto e senza cariche di rilievo. Sono contento di non essere stato un peso per il sindacato, che ho contribuito a costruire negli anni 70, negli anni migliori della mia vita.
Una breve correzione: i
Una breve correzione: i redattori del periodico die brĆ¼cke poco convinti dell'utilitĆ di pubblicare articoli in italiano non erano "Stuffer e Stecher", ma Siegfried Stuffer e Josef Schmid.
Antwort auf Una breve correzione: i von Josef Perkmann
Ok, correggo subito, grazie
Ok, correggo subito, grazie Josef
Sehr guter und detailreicher
Sehr guter und detailreicher zeitgeschichtlicher Beitrag.
Ein kurzer Kommentar zum sogenannten Kommunismus sowjetischer Schule - und sein Scheitern - wƤre allerdings hilfreich und notwendig gewesen.
Antwort auf Sehr guter und detailreicher von Salzer Claudio
Vero. Errore mio. La domanda
Vero. Errore mio. La domanda dovevo farla io, ĆØ giusto non dare nulla per scontato. Mi sono appassionato al racconto di cose che non sospettavo e non mi ĆØ venuto in mente. Grazie.
Antwort auf Vero. Errore mio. La domanda von Fabio Gobbato
Comunque ritengo molto
Comunque ritengo molto positivi pezzi di questo tipo: spiegare la storia recente attraverso i loro protagonisti, con forte vista personale, concretezza ed in ampio dettaglio. Fate bene a continuare questa narrativa - possibilmente anche con personaggi dallāaltro spettro politico.
Ihren Hinweis finde ich recht
Ihren Hinweis finde ich recht gut, Herr Salzer. Man mĆ¼sste sich nur darauf einigen, aus welcher Perspektive man Ć¼ber den Kommunismus sowjetischer PrƤgung reden mƶchte. Es gƤbe auch die Sicht aus dem SĆ¼dtiroler KrƤhwinkel...was bis ins Sarntal und zu den Steinernen Mandln von Breschnews Kommunismus vorgedrungen ist. Das wƤre doch ein kreativer Ansatz. Aber welche Plattform gibt sich dafĆ¼r her?
Antwort auf Ihren Hinweis finde ich recht von Josef Perkmann
Wir kƶnnenās ja hier
Wir kƶnnenās ja hier probieren - und danke fĆ¼r Ihr Feedback.
Ich bin im Unterschied zu Ihnen weder Akteur noch Experte des Politisch-Gesellschaftlichen, sondern bestenfalls Passagier der Zeitgeschichte, dessen Perspektive ich anbieten kann.
Als ich ein Kind war, gab es Brezhnev noch, und im Tauwetter der spƤten 1970er schaute die Welt ja relativ freundlich aus - vor allem wenn man sie aus ihrem Zentrum betrachtete, welches sich bekanntlich ā und Sie sagen es ā irgendwo zwischen Stoanernen Mandln und Montiggl befindet.
Die EuropƤische Linke sympathisierte mehr oder weniger offen mit den Genossen im Osten. Sie konnte damit aber sicherlich nur den Kommunismus als Utopie meinen, niemals dessen tatsƤchliche, wahrlich ārussischeā Umsetzung, in deren harscher RealitƤt sie vermutlich keinen einzigen Tag glĆ¼cklich geworden wƤre.
Je lƤnger nun der Untergang des sowjetischen Ostens zurĆ¼ckliegt, desto mehr wird der Blick frei auf das gesamte Panorama des letzten Jahrhunderts aus europƤischer Sicht. In diesem Kontext - und auch aktuell - erscheint der Sowjetkommunismus zunehmend nur mehr als die Fortsetzung der russisch-romanowschen Hegemonie - unter dem neuen Banner des Marxismus. SpƤtestens mit Stalin war man dort angekommen wohin sich auch die Deutschen - quasi unter ƶsterreichischer Leitung - begeben hatten: in einer ālupenreinenā Diktatur und menschenverachtenden Gewaltherrschaft, deren katastrophale Auswirkungen bis heute Ć¼berdeutlich im Raum stehen. Sicher spielten in der Sowjet-SphƤre ƶkonomisch-gesellschaftlich die marxistischen Prinzipien eine Rolle, aber politische Unfreiheit und UnterdrĆ¼ckung wogen wohl stƤrker.
Das Ende ist bekannt ā aber noch nicht gegessen. FĆ¼r das was sich heute im Westen noch āLinkeā nennt, ist - aus meiner subjektiven Sicht - dieser Zusammenbruch nach wie vor merkbar: als wesentliche Komponente einer Dauerkrise, die zur offensichtlichen Obsoleszenz von Gruppierungen wie PD, SPD oder SPĆ gefĆ¼hrt hat.
Antwort auf Wir kƶnnenās ja hier von Salzer Claudio
Die erste und wichtigste
Die erste und wichtigste Frage: gibt es in Europa noch eine Linke, die diesem Namen gerecht wird, und an einer Regierung beteiligt ist? Meiner persƶnlichen Meinung nach war Willi Brandt, und dessen SPD, die letzte "linke" Regierung in Mitteleuropa, alles danach war nur mehr ein Benutzen des Synonym's "Sozialismus" als Feigenblatt. Der Kommunismus spielte in Westeuropa nur soweit eine Rolle, dass durch den Druck von z.B. 40% PCI-WƤhlern in Italien, ZugestƤndnisse gemacht werden mussten.
Antwort auf Die erste und wichtigste von Manfred Gasser
Sehe ich genau so.
Sehe ich genau so.
Se posso osservare, non era
Se posso osservare, non era cosƬ impossibile lavorare nelle fabbriche a quei tempi, come nel caso degli operai di Sarentino. Approfitto anche per fare notare la presenza frequente nelle scuole e negli asili in lingua italiana di bambini di madrelingua tedesca, presumo per apprendere la lingua. OltrechƩ la decisa maggioranza in proporzione nelle scuole di lingua ladina, da me conosciute, forse per gli stessi motivi.
Sehr guter und interessanter
Sehr guter und interessanter Beitrag! Danke!
Nach einigen besorgten
Nach einigen besorgten Anrufen mƶchte ich den deutschsprachigen Lesern dieses SonntagsgesprƤchs mitteilen, dass dieses GesprƤch in italienischer Sprache gefĆ¼hrt und von Fabio Gobbato redaktionell hervorragend betreut wurde. Deshalb ist der italienische Text (also das Original) auch gut lesbar und der Inhalt wird offensichtlich so verstanden wie er gemeint ist.
Die deutsche Ćbersetzung, die hier abrufbar ist, stammt hingegen aus der digitalen Zauberkiste. Entsprechend klingen manche Passagen wie AuszĆ¼ge aus einer Faschingszeitung, es werden Bezeichnungen von Begriffen und Funktionen abgefƤlscht und verbraten und ZusammenhƤnge verdreht. Es ist deshalb ratsam, im Zweifelsfall auf das italienische Original zurĆ¼ckzugreifen. Tut mir leid, aber die kĆ¼nstliche Intelligenz hat bei den Ćbersetzungen halt noch massive Verbesserungschancen.
Zum Inhalt wurden in den vorherigen Kommentaren mehrere bemerkenswerte Aspekte angesprochen, die es wert sind, besprochen zu werden, aber nicht zwischen TĆ¼r und Angel oder hinter verschlossenen TĆ¼ren. Vielleicht lƤsst sich dafĆ¼r ein geeigneter Rahmen finden. Ich weis es nicht.
Aber man sollte offen darĆ¼ber reden kƶnnen, was von den alten Sozialismen Ć¼brig geblieben ist, was bis zu uns einfachen Bergbewohnern durchgesickert ist, warum sich der PCI selbst abgeschafft hat, was uns Gorbatschow sagen wollte und ob es heute noch "linke" Parteien, Listen und Bewegungen gibt, die es uns erlauben, zuversichtlich nach vorne und nicht nur
enttƤuscht nach hinten zu schauen.
Antwort auf Nach einigen besorgten von Josef Perkmann
Ja, aber wo sollen denn diese
Ja, aber wo sollen denn diese Themen dann diskutiert werden? GrundsƤtzlich ist ein Online-Forum ja nicht der schlechteste Ort dafĆ¼r ā wo ja auch der Artikel erschienen ist, der ja aufgrund seiner Relevanz zur Diskussion geradezu einlƤdt.
Nein, die "puzza" ist
Nein, die "puzza" ist angesichts solcher Kommentare eine ganz eine andere. :-)
Essendo stata detta da una
Essendo stata detta da una persona che non avrebbe avuto alcun motivo di dire una cosa per un'altra ed essendo questa persona tra i pochi a frequentare la zona industriale, mi sembrava superfluo doverla verificare. E' oltre tutto piĆ¹ che verosimile che le cose stessero cosƬ. Se gli storici (o lo storico?) a cui lei ha chiesto hanno evidenze del contrario (e il contrario corrisponderebbe alla presenza, tra il '68 e il '72, di parecchie decine di operai di lingua tedesca nelle fabbriche della Zona industriale, non di 5 o 6), cambio volentieri l'attacco del pezzo. O, anzi, la cosa migliore sarebbe che inviassero proprio un testo breve e facciamo un nuovo articolo linkato.
Lesend fragt man sich, woher
Lesend fragt man sich, woher so viel GehƤssigkeit, Revanchismus, Unfreundlichkeit in manchen Kommentaren kommt.
Es ist doch āad oggi e quiā dies Verhalten, dies Fehlen von Wohlwollen, Freundlichkeit, Respekt, das die Menschen nicht zusammen bringt.
Lettura interessante e
Lettura interessante e scorrevole. Io in quegli anni non c'ero in provincia e pur essendo trentina sul confine linguistico, dell'Alto Adige poco mi interessava. Avevo una vita da risolvere. Anch'io figlia di contadini di un paesino isolato, devo la mia formazione alla condizione di orfana, senza la quale il collegio in cittĆ , fin dalle elementari, mi sarebbe stato precluso. Trasferita in provincia di Bolzano mi ĆØ stato inevitabile acquisire la storia passata e le questioni presenti. Langer ĆØ stato da subito un importante riferimento per me. La storia di Josef aggiunge conoscenze importanti da un vissuto personale che mi mancavano.
Antwort auf Lettura interessante e von Liliana Turri
Aggiungo, a proposito di
Aggiungo, a proposito di quanto espresso nei commenti all'intervista del signor Josef Perkmann, che i sudtirolesi (di lingua tedesca) ritengo non chiedessero di essere assunti nelle fabbriche italiane per non contribuire all'industrializzazione italiana iniziata sotto il fascismo, non perchƩ venissero rifiutati dalle stesse.
Antwort auf Aggiungo, a proposito di von Liliana Turri
Ho pensato la stessa cosa.
Ho pensato la stessa cosa.
Rispondo al Signor Marcon non
Rispondo al Signor Marcon non per il gusto della polemica, ma per dire che, a mio avviso, abbiamo superato abbastanza bene le vecchie vicende intorno alla "zona industriale" di Bolzano per il bene di tutti quanti. A parte che "gli storici" (documenti alla mano e testimonianze verbali) conoscono il passato sempre meglio di quelli che hanno vissuto quel passato, che hanno una visione "personale" molte volte anche sbagliata, distorta, non confermata dalle cifre. La questione della "zona industriale" la conosco non solo per esperienze vissute, ma anche per le cifre confrontate, e oggi sono contento, che per quelle cifre, quei comportamenti discriminatori che hanno durato molto oltre il 1945, siamo riusciti - con il buonsenso di tutte le parti - ad evitare una guerra tra poveri.
Volendo fare le pulci sul fenomeno delle assunzioni discriminatorie nella zona industriale di Bolzano, che ha durato per piĆ¹ di 30 anni, tengo a precisare, che le assunzioni riservate ad operai ed impiegati italiani selezionati per lingua e nazionalitĆ , possibilmente non comunisti, hanno iniziato a sgretolarsi proprio nei primi anni settanta - e quel periodo lo ricordo da vicino. Sono stati assunti i primi operai "tedeschi" - che davano all'occhio come le mosche bianche - sono seguiti quelli di Sarentino, venuti in pulman...visibilmente tirolesi valligiani... non erano 5 o 6, ma erano un bel gruppetto, con il quale pian pianino con Aldo Foldi, comunista, piĆ¹ tardi anche con Josef Stricker, sindacalista della CISL e sacerdote della diocesi, siamo riusciti a fare qualche assemblea sindacale, dalla quale ĆØ uscito un delegato.
Signor Marcon, sul fenomeno zona industriale di Bolzano, Montecatini di Sinigo e Pubblico Impiego in Alto Adige non bisogna fare le pulci sul momento in cui stava per essere superato. Bisogna valutare con onestĆ” intellettuale il fenomeno nel suo complesso (anche con cifre alla mano), le circostanze della nascita, i contenuti discriminatori, il potenziale di conflitto e i modi del suo superamento. Gli storici sono in grado di dare un grande contributo, ma fanno fatica a farlo in modo tranquillo. La patata ĆØ ancora troppo calda.
Signor Perkmann,
Signor Perkmann,
Ritengo opportuno precisare - stimolata dal suo ultimo commento che invita alla calma - che non si possono dimenticare situazioni sempre presenti nelle quali il cittadino sudtirolese italiano si trova non poco svantaggiato rispetto a quello tedesco. E non per sua mancanza di volontĆ o negligenza. Io credo che sarebbe ora di intervenire perchĆ© si possano avere pari opportunitĆ e dignitĆ .
Ad esempio istituendo sezioni con insegnamento bilingue nelle scuole, senza nulla togliere a quelle monolingue esistenti. La separazione dei gruppi e il dialetto sudtirolese sono ostacoli per l'acquisizione di un bilinguismo alla pari del cittadino altoatesino/sudtirolese italiano. E lei, da ex sindacalista, ne ĆØ senza dubbio consapevole.
Ć opportuno magari farlo finchĆ© la patata ĆØ ancora calda. Una volta raffreddata potrebbero volerci altri 70 finchĆ© si scaldi. Lei che ne pensa?
Antwort auf Signor Perkmann, von Liliana Turri
Ein Gegenbeispiel: ein mir
Ein Gegenbeispiel: ein mir bekannter Italiener, der gerade dabei war, fĆ¼r die Zweisprachigkeit zu lernen, bat mich, ob ich mit ihm Sprachtandem mache. Ich mĆ¼sste aber Standartdeutsch sprechen. Das war fĆ¼r mich selbstverstƤndlich und wir Ć¼bten abwechselnd deutsch oder italienisch zu sprechen.
Als er die ZweisprachigkeitsprĆ¼fung geschafft hatte, war sein Interresse geschwunden: er hatte keine Interesse mehr mit mir deutsch zu sprechen. Ihm interessierte nur das Patentino und weil er das ein fĆ¼r allemale erworben hatten, wĆ¼nschte er, mit mir wieder in italienisch zu sprechen.
Eine KuriositƤt noch dazu: diese Lehrperson hat eine deutsche Frau und entsprechend auch deren deutsche Verwandschaft. Er hatte erreicht, dass er zu seinem Lohn noch die Zweisprachigkeitszulage erhielt!? Basta.
Antwort auf Signor Perkmann, von Liliana Turri
Wenn eine tschechische
Wenn eine tschechische Service - Fachkraft nach 2-3 Jahren italienisch und deutsch ziemlich gut, und Dialekt ausreichend, spricht, frage ich mich, was bei unseren italienischen MitbĆ¼rgern das Problem ist. NatĆ¼rlich kann eine zweisprachige Schule helfen, aber Schule kann nicht SchĆ¼lern eine Sprache lehren, die diese nicht lernen wollen, und besonders auĆerschulisch nicht benutzen mĆ¼ssen.
Antwort auf Wenn eine tschechische von Manfred Gasser
Sig. Gasser
Sig. Gasser
lo diceva giĆ Leonardo da Vinci, e, oggi, i principali neurolinguisti. Le lingue si imparano se si amano. Far amare la lingua ĆØ il principio di metodologie didattiche precise che perĆ² qui da noi sono state ferocemente osteggiate, e non solo da parte "tedesca", sia chiaro. Il livello di tensione e oppressione che si vive fin da piccoli impedisce di imparare una lingua che ĆØ giĆ di per sĆ© molto difficile strutturalmente. Tenga solo conto che io, pur avendo patentini ex "A" di bi e trilinguismo, avendo insegnato italiano tedesco e ladino anche all'universitĆ , essendo stata membro di commissione nei patentini di bilinguismo, a 56 anni sono stata tempo fa nuovamente sottoposta a ulteriori esami linguistici. Queste situazioni non sono accettabili in nessun contesto civile e democratico.
E di questo occorre essere consapevoli.
Antwort auf Sig. Gasser von Simonetta Lucchi
E concludo: questo riguarda
E concludo: questo riguarda non solo ragazzi e bambini italiani ma anche tedeschi. Alcuni si rifiutano letteralmente di imparare l'italiano.Ma non perchƩ non vogliono. PerchƩ abbiamo inculcato i pregiudizi e la diffidenza. A me dispiace molto.
Antwort auf Sig. Gasser von Simonetta Lucchi
Non ho nessun patentino, non
Non ho nessun patentino, non ho mai studiato, e lo stesso parlo, e scrivo abbastanza bene la lingua di Dante. Non sono ancora contento, vorrei avere il "Wortschatz", e saper scrivere come, per esempio, Gabriele Di Luca in italiano, o come Thomas Benedikter in tedesco. Del resto Le do pienamente ragione, se la societa e la scuola riesce a far amare agli alunni la seconda, terza o quarta lingua, tutto il resto si risolve strada facendo.
Antwort auf Non ho nessun patentino, non von Manfred Gasser
Sig. Gasser
Sig. Gasser
Non ho parlato di patentini per vantarmi, ma per dire che sono stata costretta a farlo per poter lavorare e avendone necessitĆ . E ancora oggi, alla mia veneranda etĆ , vengo sottoposta a controlli linguistici. Non ho dubbi, e in questo mi complimento con Lei, che si possano conoscere bene le lingue anche in altri modi. A me piacciono comunque.
Antwort auf Wenn eine tschechische von Manfred Gasser
Le rispondo in base alla mia
Le rispondo in base alla mia esperienza, Sig. Gasser, non pretendo sia la veritĆ .
1. Le lingue si imparano meglio in un contesto pratico. Nelle scuole tendiamo a fare molta storia della letteratura, e facciamo parlare poco i ragazzi. Questo non sempre ma spesso;
2. Chi conosce una lingua slava ha di base molta piĆ¹ facilitĆ a apprendere il tedesco, rispetto a un italofono. Per alcune caratteristiche, anche l'italiano rispetto a un germanofono;
- il dialetto non si impara a scuola e finchĆ© viviamo in contesti divisi ĆØ inutile pretenderlo.
Se si deve affrontare un esame di lingua, come richiesto agli "italiani" che mediamente hanno un diploma o laurea, la situazione poi ĆØ diversa e occorre precisione anche nello scritto
Antwort auf Signor Perkmann, von Liliana Turri
Zitat: āche non si possono
Zitat: āche non si possono dimenticare situazioni sempre presenti nelle quali il cittadino sudtirolese italiano si trova non poco svantaggiato rispetto a quello tedescoā:
... und diese wƤren?
Solo alcune osservazioni. In
Solo alcune osservazioni. In un mio articolo precedente mi sono rivolta al prof. Dello Sbarba per dire: attenzione alle parole. Sono abituata a insegnare in classi di liceo con ragazzi di tutte e tre le etnie, in particolare di madrelingua tedesca, provenienti da scuole di tutto il territorio, altri locali e quindi ladini, pochi italiani. So che esistono mille versioni e ogni parola puĆ² urtare le sensibilitĆ e impedire il dialogo. A me non piace mai criticare e offendere nessuno e peso le virgole. Per parlare di storia e scuola non servono le esperienze personali. Dovrebbero farlo persone super partes e molto esperte. Io ho vissuto quegli anni e ricordo gli operai. Mi rendo conto che esistono alcune ancora da riempire. Ma ho studiato la storia sudtirolese in Germania, piĆ¹ che qui. Purtroppo, perĆ², i presupposti sono sempre quelli di voler capire. Se manca la volontĆ , bisogna prendere atto del fallimento di un progetto politico e sociale, che era quello di una rispettosa convivenza.
Da qui, possibilmente ripartire, se si vuole.
Antwort auf Solo alcune osservazioni. In von Simonetta Lucchi
Convengo con la signora
Convengo con la signora Lucchi. Le chiedo en passant su quali testi ha studiato in Germania la storia del Sudtirolo?
Antwort auf Convengo con la signora von Liliana Turri
Zitat: āConvengo con la
Zitat: āConvengo con la signora Lucchiā:
das erschlieĆt sich aus den jeweiligen Kommentaren nicht;
aufmerksam lesend unterscheidet man unschwerlich hier Tag und dort Nacht in den jeweiligen Kommentaren von Frau Simonetta Lucchi und Frau Turri, so meine ich doch erkennen zu kƶnnen.
Antwort auf Solo alcune osservazioni. In von Simonetta Lucchi
Ich habe Ihre Artikel bei
Ich habe Ihre Artikel bei Huffington Post gefunden, Frau Lucchi. Von ārispettosa convivenzaā reden Sie also nur hier auf Salto?
Antwort auf Ich habe Ihre Artikel bei von Dennis Loos
Warum antworten Sie mir nicht
Warum antworten Sie mir nicht wenn ich kritische Fragen stelle? Warum sagen Sie mir nicht, wo "Ihr" Buch erhƤltlich ist?
Antwort auf Warum antworten Sie mir nicht von Dennis Loos
Sig. Loos, e rispondo anche
Sig. Loos, e rispondo anche alla sig.ra Turra
Mi scusi, leggo solo ora. Se mi puĆ² spiegare meglio la domanda, scrivo molti articoli non solo su Huffington Post, poi potrĆ² rispondere;
- il "mio" libro, giustamente fra virgolette perchĆ© mi riferisco a una pubblicazione senza fini di lucro e in uso nelle scuole a fini divulgativi, non ĆØ appunto in vendita, ma si possono trovare informazioni in rete. Ne potrĆ² scrivere se interessa anche qui su Salto prossimamente;
- alla sig.ra Turra, che ringrazio, devo dire che mi riferisco a studi di ormai trent'anni fa e non riguardano un corso o un testo specifico, piuttosto piĆ¹ letture. Ancora adesso comunque su canali come Arte' si possono vedere interessanti documentari sul Sudtirolo o in generale trovo interesse per letterati o artisti locali qui non molto noti .
Antwort auf Sig. Loos, e rispondo anche von Simonetta Lucchi
Ich hƤtte gerne eine Kopie
Ich hƤtte gerne eine Kopie von Ihrem Buch, das aber nicht Sie sondern ihre SchĆ¼ler gemacht haben, stimmt das?
Jeder kann sich ein Bild von den Artikeln machen, die Sie beim Huffington Post (in einem Blog) geschrieben haben. Dort klingt alles nicht so friedlich wie hier.
Le veritĆ "vere" non quelle
Le veritĆ "vere" non quelle propinate da chi domina vanno riconosciute da una parte e dall'altra. Dovrebbero essere la base di una onesta convivenza.