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Torniamo con i piedi per terra

Il progetto Meister ad Auronzo è la vecchia storia del principe dal grasso portafoglio che arriva e decide per tutti. Perché non riusciamo a immaginare un futuro diverso?
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Foto: Privat

Partiamo dal titolo della serata del 6 maggio ad Auronzo: Con i piedi per terra. È un titolo molto sfidante, ancor più alla luce del cambiamento di paradigma ambientale ed ecologico nel quale ci troviamo. Siamo partiti dalla terra perché è la terra la prima risorsa che viene sacrificata dai nostri progetti di sviluppo. Una terra di cui non conosciamo segreti e fragilità. Possiamo pensare un futuro di valle senza domandarci come trattare il suo suolo? Senza pensare gli impatti dei progetti che ci propinano? No, non è possibile. Parole come attrattività, crescita, turismo, sviluppo sono ormai vecchie di fronte al cambiamento climatico. Il Veneto è la seconda regione italiana per consumo di suolo. E lo è perfino nelle delicate aree alpine. Siamo qui a piangere un presente figlio di un passato che ha imposto alla natura di adeguarsi ai nostri modelli di crescita.

Ci piace l’idea che una valle si pieghi al capitale che arriva, compra, disfa e impone il proprio modello turistico mentre tutti stanno a guardare?

Abbiamo sfruttato la montagna con modelli turistici e di impresa altamente estrattivi che hanno spolpato le risorse naturali consegnando molta ricchezza a pochi e poco benessere agli altri. Possiamo andare avanti così? Possiamo solo correggere le forme, ma non la sostanza? È il caso del villaggio turistico Meister: cambia la forma, ma non la sostanza. Prima erano lo sci di massa, poi le seconde case e i grandi hotel a dettare l’agenda dello sviluppo delle valli. In nome del danaro e dell’attrattività tantissimo suolo alpino prezioso è stato cementificato e molte regioni alpine trasfigurate in peggio. Possiamo ancora lasciare spazio a turismi così dissipativi? Sempre pronti a violare la natura per farne specchietto per attrarre portafogli? Ci piace l’idea che una valle si pieghi al capitale che arriva, compra, disfa e impone il proprio modello turistico mentre tutti stanno a guardare? Così è stato per decenni e il risultato è sotto gli occhi di tutti: comuni vicini al dissesto finanziario con spese pubbliche enormi; giovani che scappano perché quella montagna non è più riconoscibile; grandi eventi che atterrano nelle valli promettendo fortune che poco dopo diventano spese e debiti sotto forma di interessi finanziari, cemento e rifiuti; strade sempre più colossali che aumentano il traffico già insostenibile e necessitano di più fondi per manutenerle.

 

 

In questa cornice, il villaggio Meister non è nulla di nuovo, né una buona notizia per me. È la vecchia storia del principe dal grasso portafoglio che arriva e decide lui per tutti. In montagna è il turismo stravagante, in pianura la logistica del consumo on-line: entrambi mettono in crisi le comunità locali ricattandole con il lavoro. Ma quale lavoro? Quale futuro? Quale sostenibilità? Chi assicura che quelle proposte siano giuste per quelle aree e quelle società così fragili? In fondo le case sugli alberi non sono certo una tradizione di valle e sembrano più una proposta allogena per soddisfare i pruriti di un ceto sociale super ricco ma perennemente insoddisfatto, convinto di curarsi a colpi di adrenalina, soldi ed eccentricità. Davanti a quella roba la comunità si blocca, non riesce ad argomentare e opporsi, perde la parola rischiando di accettare. Cade anche l’argine secolare a tutela della terra di tutti. Quel che nessuno prima si sarebbe sognato di chiedere per pudore e rispetto, le terre della Magnifica Comunità, ora rischia di non resistere al canto delle sirene. E invece la comunità deve resistere come fece Ulisse legandosi al palo delle regole sfuggendo al canto predatorio delle sirene. Occorre tenere il sangue freddo e domandarsi se è questo che la valle vuole e se è quella una proposta sensata per il futuro dei giovani. Quali sono le garanzie per la natura? Fra dieci anni tutto sarà abbandonato? Quell’intervento risolve davvero i problemi di valle o ne genera di nuovi? Interventi come quelli sono inclusivi o esclusivi? Fa bene alle Alpi? È coerente con la strategia europea sulla biodiversità che chiede ampliamento delle aree tutelate e cambiamenti radicali (a cui questo non assomiglia per niente)?

Possibile che non si sia capaci di immaginare un turismo che sia diverso da queste invasioni?

La proposta Meister non vuole solo posizionare una trentina di capanne in un’area di grandissimo pregio ecologico e paesaggistico (e già questo è un problema), ma finisce per cambiare i connotati di quell’area rendendola irriconoscibile: nuove strade, un lago artificiale, impianti, tubature per acqua, fogna ed energia, pali, movimenti terra, etc. Non sono interventi leggeri come potrebbero essere delle capanne a terra in legno con dietro una proposta di esperienza nella natura alla Thoreau (magari fosse questo! Magari fossero capanne a terra TWIN gestite dai giovani). Ma sono vere e proprie invasioni che distruggeranno una millenaria torbiera alpina, raro scrigno di biodiversità floristica e animale. Quei suoli sono suoli indisturbati da millenni, il solo muoverli equivale a distruggere habitat, specie ed equilibri. Possibile che non si sia capaci di immaginare un turismo che sia diverso da queste invasioni? Che metta in cima all’agenda quei valori ecologici e umani che abbiamo sempre messo in fondo ritrovandoci oggi in una situazione climatica e sociale disperata e disperante? Non è più il tempo dei villaggi turistici, anche se sugli alberi. Oggi è solo il tempo della biodiversità e del recupero di tutto ciò che di costruito già esiste e non è utilizzato.

 

Non vorrei che qualcuno stia pensando a comprare interi pezzi di montagna per farne rifugi freschi per ricchi, serviti e riveriti da abitanti-sudditi locali. Vorrei dire alle comunità locali di aprire gli occhi e fare come Ulisse davanti alle sirene: legatevi alle vostre migliori tradizioni e regole, quelle sagge dei vostri avi, e resistete da un lato e dall’altro fate degli stati generali (con i giovani) per chiedervi cosa fare della montagna vostra e di tutti, non vostra e di pochi ricchi. Le istituzioni centenarie quali sono le regole e le magnifiche comunità stanno pensando come essere alfieri della biodiversità? Quale ruolo vogliono avere nel cambiamento climatico? Che laboratorio di sostenibilità vogliono essere? Come vogliono insegnare al Paese l’importanza della biodiversità, dell’acqua e del suolo? Non posso credere che rimangano ferme e inermi davanti a queste sfide, né voglio credere che il primo ricco finanziere che passa di là riesca a destabilizzare una istituzione secolare, da sempre garanzia di vita per la montagna, svilendo il loro ruolo e finendo per farle chiudere.

I giovani ci stanno chiedendo altro e stanno lottando e manifestando per questo. Non rimarranno in valle per fare i camerieri dei ricchi

Dove è finito l’insegnamento di Dino Buzzati, bellunese, e del suo bosco vecchio? Triturato dalle macine di un modello di sviluppo che torna a mordere le Alpi? Tornate a mettervi in ascolto della biodiversità dei boschi che custodite e che non riconoscete più. Io credo che si possano trovare soluzioni ben migliori e molto più di dare risposta a questo tempo fragile che ci chiede ben altro che un villaggio turistico per una manciata di ricchi. I giovani ci stanno chiedendo altro e stanno lottando e manifestando per questo. Non rimarranno in valle per fare i camerieri dei ricchi. Interrogateli, coinvolgeteli, chiedete cosa ne pensano, aiutiamoli a crescere nel solco del rispetto della natura e dei suoli. Torniamo a tenere i piedi per terra, saldamente a terra.