Politik | L'Europa è ancora da fare

Le fiamme del Reichstag e una Rosa bianca

Ottant'anni fa la presa del potere di Hitler
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L'Europa nacque da quell'inferno. Ottant'anni fa la notte incombeva fra i deliri degli innocenti. Il 30 gennaio del 1933 Adolf Hitler si impessessava del Reich. Gridò il suo giuramento sotto scrosci di applausi. Un mese più tardi, il 27 febbraio le fiamme si abbattevano sul diritto: il fuoco inceneriva il Reichstag. Il 21 di marzo, nella più gelida primavera della storia europea, il nuovo cancelliere, inchinandosi un poco, stringeva la mano al presidente del Reich Paul von Hindenberg davanti al tabernacolo della Garnisonkirche (in questi giorni la foto campeggia su tutti i giornali tedeschi). Il 10 maggio la cultura bruciava nei falò con migliaia di libri e migliaia di autori. I dannati si aggiravano nudi nelle distese infuocate di un'Europa senza bussole e banderuole. La guerra utilizzava i nomi più veri: morte, distruzione, dominio, vittoria, spietatezza, crudeltà, omicidio, persecuzione. L'urlo farneticante del Führer si alzava dalla piazza dell'idolatria: guerra totale, infinita, metafisica!

Ben presto i cancelli del male assoluto aprirono il sipario allo spettacolo macabro del festino satanico dove i corpi dei bimbi, inceneriti, uscivano neri dai forni crematori. Il gas, poco più in là, scioglieva le vite degli innocenti senza età o distinzione di sesso. Altre vite venivano appese alle funi, ad altre calava la lama affilata della ghigliottina ma i più venivano finiti alla buona, a colpi di pistola. La fame inaridiva anche i fisici più prestanti. Il lavoro li faceva a pezzi. Il gelo li schiantava a terra.

Eppure Wagner suonava nell'aria.

Dieci anni più tardi, nel febbraio del '43, il fiore della resistenza tedesca veniva reciso. Gli studenti della Weisse Rose (Rosa Bianca) dicevano Europa. Nei loro sogni quel continente aveva il sapore della pace e della libertà. Sophie Scholl lo vedeva così, come un torrente a cui bagnarsi i piedi o come un albero da abbracciare. Non capivano, i ragazzi della resistenza, come mai l'Europa dovesse scendere sempre più in fondo, fino a toccare il limite dell'abisso mortale. Non avevano letto Dante, forse nemmeno il Mein Kampf. Ma conoscevano Heine a memoria: “Chi non conosce Heinrich Heine non conosce la letteratura tedesca”.

Sophie aveva inciso la parola “Freiheit” nel muro della sua prigione. Il 22 febbraio del '43 venne ghigliottinata. Insieme a lei suo fratello Hans e l'amico Christoph Probst. Poi fu la volta di Willy Graf e Alexander Schmorell e infine del professore di filosofia Kurt Huber. La rosa perse i sui petali ma non la sua primavera: “Noi non rimarremo in silenzio, siamo la vostra cattiva coscienza. La Rosa Bianca non vi lascerà in pace”.

Giro nei corridoi dell'università di Monaco in attesa di incontrare Franz Josef Müller, presidente onorario della Weisse Rose Stiftung, unico sopravvissuto. Entro nell'atrio bloccato dai lavori di risanamento. Posso solo immaginare quell'ultimo attimo di terrore, prima della morte, quando a Sophie le scappò un volantino dalle mani e il guardiano nazista la rincorse facendola arrestare insieme ad Hans. Percorro un corridoio sulle destra e mi trovo davanti al memoriale (Denkstätte). Entro e seguo il racconto della mostra con le foto dei protagonisti, la ricostruzione della vicenda, i testi dei volantini, le biografie dei ragazzi. C'è sempre una bella rosa bianca all'entrata accanto al libro degli ospiti.

Franz Josef Müller arriva puntuale con il suo basco rosso e un capotto marrone scuro. Ride, scherza, Ha barba e baffi bianchi e un sorriso sornione. “Volevamo l'Europa”, si avvia a dire commentando la crisi che investe il vecchio continente. “Quando aiutai i miei amici a scrivere il quinto volantino, avevamo una visione grandiosa, piena di ideali. Sognavamo un'Europa federale in cui fosse scritta a lettere di fuoco la parola libertà”. Leggiamo il volantino: “Oggi, solo un sano ordinamento federalista può dare ancora nuova vita all'Europa indebolita. Con un ragionevole socialismo, la classe dei lavoratori deve essere liberata dalla sua condizione di profonda schiavitù. L'illusione di una economia autarchica deve scomparire dall'Europa. Ogni popolo, ogni individuo ha diritto ai beni del mondo. Libertà di parola, libertà di religione, difesa del singolo cittadino dall'arbitrio della violenza di Stati criminali: questi sono i fondamenti della nuova Europa”.

Mentre il professor Müller parla leggo alcune notizie dall'Europa. Sogni e cronaca stridono. Der Spiegel pubblica una breve intervista a István Hegedüs, leader dell'opposizione ungherese al governo nazionalista di Viktor Orban. Chiede  l'intervento della Ue per fermare al più presto il processo di riforma della Costituzione che vorrebbe introdurre norme restrittive alla libertà di espressione e di stampa. Il clima in Ungheria è sempre più aspro. Razzismo e antisemitismo stanno agitandosi paurosamente. Nei giorni scorsi sulla porta dello studio universitario della famosa pensatrice Agnes Heller sono comparse queste scritte: “Ebrei, l'università è nostra, non vostra”. Ieri il Tagespiegel pubblicava un editoriale con le cifre degli omicidi a sfondo razziale e ideologico (estrema destra) dall'inizio della riunificazione tedesca. Il giornale parla di 152 vittime. L'Europa fortezza chiude i varchi agli immigrati, ma nello stesso tempo si rafforzano, al suo interno, le tendenze etnocentriche e i diktat finanziari si fanno via via più pesanti. L'export delle armi aumenta frenetica,ente, anche in Germania, nonostante le guerre euroatlantiche degli ultimi vent'anni siano risultate un fallimento: 120 mila morti in Iraq solo dal 2003, ossia dalal fine della guerra) Il Berliner Tageszeitung nei giorni scorsi ha pubblicato un'intervista al sottosegretario di stato Colin Powel durante il periodo della guerra del Golfo, il quale candidamente ammette che i motivi per cui si è scatenata la tempesta nel deserto erano tutti falsi”. 

Il sogno dei ragazzi della Rosa bianca di poter uscire dalla divisione ideologica secondo un progetto di Europa federalista, nonviolenta, aperta ai bisogni delle classi più povere, rimane ancora soltanto una vaga speranza in un clima in cui divampa, ogni giorno di più nella società la violenza, il sospetto, la paura, l'insofferenza, il rancore. E l'Italia è dentro questi spasmi. 

Le parole della nuova presidente della Camera, Laura Boldrini (un sole o una luna agostana, in un diluvio politico che sembra inarrestabile) dicono tutto, parlano chiaro: "Lavoriamo perché l'Europa torni ad essere un grande sogno, un crocevia di popoli e culture, un approdo certo per i diritti delle persone, appunto, un luogo della libertà, della fraternità e della pace". Sembra di sentire la voce di Sophie Scholl.

A ottant'anni dall'inferno, il memoriale della Rosa Bianca è un qualcosa di sacro. Vedere le foto, leggere i racconti, ascoltare le voci, percepirne la memoria viva nella piazza, nella strada antistante l'università di Monaco fa bene al cuore. Significa che quelle vite non sono state spezzate in vano e che l'inferno del Novecento, grazie al cielo, rimane ancora sullo sfondo del secolo, come un monito, come un tabù. Perché il male – come ci ricorda la Heller - anche se nelle sue forme esteriori può essere vile e borghese (Eichmann) non è mai banale”.