Sarebbe stato simpatico iniziare questa nota scrivendo che, dopo un secolo, la trattativa continua. Purtroppo il calendario non ammette scorciatoie e gli anni passati da quando a Bolzano, seduti attorno ad un tavolo i fascisti e gli esponenti del Deutscher Verband misero nero su bianco un accordo che era al tempo stesso una tregua e un’alleanza sono centouno. Pazienza.
Gli avversari si incontrano
Si era infatti nel dicembre del 1922 quando prese corpo l’ipotesi di un’intesa tra due forze politiche che, sino a quel momento si erano opposte l’una all’altra anche con la forza (da parte delle camicie nere) oltre che di una polemica al calor bianco. Per comprendere la particolarità di quell’incontro occorre inquadrarlo nel clima del momento. Benito Mussolini era stato chiamato alla guida del Governo da poco più di un mese e, con l’assenso del Re e il sostegno delle squadre pronte a marciare su Roma, aveva ottenuto alla Camera la fiducia anche da parte dei liberali, di molti popolari, dei nazionalisti. A Bolzano e Trento era ancora viva l’eco della marcia di inizio ottobre quando i fascisti avevano occupato scuole ed edifici comunali, cacciando il vecchio Borgomastro e il Commissario mandato da Roma. A Trento si era insediato un Prefetto scelto da Mussolini e in Alto Adige erano all’ordine del giorno le contese sulla lingua di insegnamento in una scuola o sulla predica della domenica in una chiesa.
Tutto sembrava quindi congiurare contro ogni ipotesi di intesa ed invece le trattative iniziarono e proseguirono durante tutto il cuore dell’inverno. Mussolini fu informato e fece sapere al Prefetto di non immischiarsi ma di lasciar fare perché era curioso di capire quel che ne sarebbe venuto fuori.
Si discusse sino a febbraio, quando la trattativa si concluse con la firma di un accordo in tredici punti. Le sigle in calce erano quelle del massimo esponente del Deutscher Verband Friedrich von Toggenburg e dal federale dei fascisti altoatesini Luigi Barbesino.
Prevedo già a questo punto inevitabile levata di scudi. Il paragone fra la trattativa di allora e quella di oggi sarebbe improprio e offensivo. A Roma non governa Benito Mussolini ma Giorgia Meloni, a Bolzano Alessandro Urzì non è Luigi Barbesino e il liberale Arno Kompatscher, quarti di nobiltà a parte, non può essere considerato erede del Toggenburg che, prima di occuparsi di politica locale, era stato addirittura Ministro degli Interni negli ultimi tumultuosi anni della Monarchia danubiana e che tra l’altro viene ricordato di quanto in quando per aver pronunciato, in un’intervista al Corriere la fatidica frase: "Se fossi italiano, probabilmente sarei stato un fascista."
Tutto vero. Eppure….
Se andiamo a leggere i tredici punti di quell’intesa, che poi, com’è noto, fu mandata al macero da un Mussolini ispirato dall’estremismo nazionalista di Ettore Tolomei, vi ritroviamo uno spirito e una sostanza che in qualche modo, inevitabilmente, ci riportano all’oggi.
Alleati contro sinistra e popolari
Nel testo (noi ci riferiamo a quello pubblicato a pagina 271 del preziosissimo lavoro di Sergio Benvenuti “il Fascismo nella Venezia Tridentina”) ci sono una serie di impegni reciproci che i due contraenti dichiarano di assumere. Il Verband (alleanza dei partiti cattolico e liberal-nazionale, vero antesignano della SVP) rinunciava a qualsiasi forma di iniziativa irredentistiche e quindi anche ai collegamenti con le centrali pangermaniste di oltre Brennero e assicurava che i sudtirolesi si sarebbero adattati a diventare bravi cittadini dell’Italia che aveva conquistato la loro terra. La questione altoatesina doveva restare un problema interno, scevro da qualsiasi coinvolgimento di Austria e Germania a livello internazionale.
Accettavano anche, i sudtirolesi, di essere istruiti nell’uso della lingua italiana, ma ottenevano in cambio ampie garanzie sul mantenimento della scuola in lingua tedesca e sull’uso della loro lingua negli uffici pubblici, sulla tutela delle loro istituzioni culturali e sul rispetto delle loro tradizioni.
C’è poi un aspetto che l’intesa non compare ma che viene storicamente dato per assodato. In base all’accordo le due formazioni politiche non escludono una sorta di alleanza elettorale per opporsi unite, in ambito regionale, ai popolari trentini e ai socialisti. Quest’aspetto va spiegato riferendosi ai risultati delle elezioni politiche che si erano svolte nella primavera del 1921. Nel collegio altoatesino il partito di lingua tedesca aveva fatto il pieno conquistando tutti e quattro i seggi in palio, ma nel Trentino il fronte fascista e nazionalista non era riuscito nemmeno a presentarsi e a far la parte del leone erano stati, per l’appunto, i socialisti e soprattutto i popolari di De Gasperi che avevano, come linea politica, quella di una forte opposizione al fascismo. Si pensi, solo per fare un esempio, che il giornale cattolico diretto proprio da Alcide De Gasperi, fu l’unico foglio dei popolari italiani ad essere assaltato e saccheggiato nel 1926 delle squadre fasciste che in genere riservavano queste attenzioni solo ai giornali della sinistra. Più che naturale quindi che il fascismo, già al potere ma ancor debole in quella che Mussolini definì “aula sorda e grigia”, pensasse di utilizzare il massiccio consenso dei sudtirolesi per ridurre in minoranza socialisti e cattolici.
Tutto questo all’interno e accanto al quel foglio di 13 punti respinto sdegnosamente dal Gran Consiglio del fascismo così come era stato criticato aspramente dagli esponenti più estremisti del fronte sudtirolese come il deputato Reut Nicolussi o dagli esponenti della sinistra trentina e altoatesina.
Vi ricorda qualcosa?
La risposta viene naturale: come cent’anni fa, anzi centouno, la posta in gioco è quella di un’alleanza politica sulla base della quale da parte sudtirolese si mira a costruire una forte difesa dell’identità, della lingua, della cultura e a scongiurare ogni tentativo di nazionalizzazione.
In Giorgia we trust
Riposti sullo scaffale dei libri di storia, possiamo guardare con più attenzione la situazione odierna ed è chiaro, per chi vuol vederlo, che il punto centrale di tutta la vicenda è costituito dal progetto di revisione dello Statuto che è al centro di questa fase della strategia politica di Arno Kompatscher e che anche l’elemento chiave per spiegare la decisione con la quale è stata imboccata la strada dell’alleanza con Fratelli d’Italia.