Politik | Potere e narrazione

La fabbrica del potere

Sullo scontro tra media e politica declinato à la Südtirol
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Dolomiten del 3/10/24, prima pagina
Foto: Dolomiten
  • È un vero peccato che una parte così significativa degli altoatesini non sia adusa a leggere la Dolomiten perché ciò che sta succedendo riguardo alla vicenda della scuola in lingua tedesca Goethe di Bolzano, sui cui dettagli tornerò più avanti per non abusare da subito della pazienza dei lettori, rappresenta la sintesi perfetta di uno dei problemi più grossi che rendono debole - si vedrà in seguito il perché di questo aggettivo - la democrazia sudtirolese: democrazia della quale, volenti o nolenti, ma più che altro non particolarmente voluti, anche gli altoatesini fanno parte.

    Nello specifico, la questione riguarda la lotta in corso sull’iniziativa della direttrice Christine Holzer che vede su schieramenti opposti gli esponenti politici di vertice del governo provinciale e il principale – eufemismo il cui scopo è attenuare il dato di realtà, ovvero che, esclusa la RAI provinciale, i concorrenti sono, per così dire, staccati di parecchie lunghezze - quotidiano in lingua tedesca locale.
    Già utilizzare il termine lotta rappresenta una particolarità di per sé: com’è possibile che un semplice giornale possa costituire un avversario degno di nota nei confronti di chi ha in mano le leve del potere?

    In realtà, di esempi sul campo ve ne sono a bizzeffe. Senza scomodare la vicenda Watergate del 1972, dove un’inchiesta giornalistica promossa dai reporter Bob Woodward e Carl Bernstein sulle intercettazioni illegali da parte di uomini legati ai repubblicani nei confronti di esponenti del partito democratico portò alla richiesta di impeachment e conseguenti dimissioni dell’allora presidente statunitense Richard Nixon o le recentissime vicende ruotanti attorno alla figura di Julian Assange, da sempre il tipo di giornalismo, prima su carta stampata, poi attraverso i nuovi media, che è passato e ancora passa alla storia è il giornalismo d’inchiesta: vale a dire, quello che nelle sue funzioni di «Watchdog» (cane da guardia - del potere) costituisce l’essenza di un controllo della cosa pubblica che è indispensabile per ogni democrazia moderna che si voglia definire come tale.

    All’opposto o, come si dice, dall’altra parte della barricata, si trova quel tipo di giornalismo tratteggiato da Edward Herman e Noam Chomsky nell’opera «La fabbrica del consenso», dove gli autori ci rivelano che «la comunicazione, anche quella considerata più imparziale, cela sempre in sé la morsa della propaganda. Gli esempi citati sono molteplici: nelle elezioni in Nicaragua dei primi anni ottanta, l’intromissione degli Stati Uniti era giustificata dalla narrazione di uno stato meno democratico dei paesi confinanti; nel complotto Kgb-Bulgaria per l’uccisione di Giovanni Paolo II, i media hanno strumentalizzato la disinformazione; lo stesso è accaduto nelle guerre di Indocina, in cui per la prima volta nella storia l’esito di un conflitto non è stato deciso in battaglia ma sulla carta stampata e sugli schermi televisivi.» (fonte Il Saggiatore, traduzione di Stefano Rini).

    C’è però un’altra pratica del giornalismo, che non lo vede né come cane da guardia (cit. Joseph Pulitzer) né come cane da compagnia e da riporto (cit. Marco Travaglio), ed è quella che si potrebbe definire la terza via: ovvero, quella praticata dal quotidiano citato in apertura e che consiste non nello smascherare la politica o nell’ossequiarla, ma nel farla. Con un’azione in sinergia con altri media che gli è resa possibile dal fatto di appartenere tutti ad uno stesso gruppo editoriale che di nome fa Athesia e che - così Riccardo Dello Sbarba nell’articolo intitolato «Athesia pigliatutto» e pubblicato su Salto nel 2020 - «raggiunge un grado di concentrazione monopolistica del 75% (misurato in termini di “total audience informativa”, cioè la quota di popolazione raggiunta dalle testate di un’unica proprietà editoriale).»

    Intendiamoci bene. La questione non verte sul fatto che un gruppo editoriale voglia fare politica dalle “colonne” dei suoi media. Ne ha piena facoltà. Il problema è che decida di farlo e lo possa fare un gruppo che detiene una percentuale di «total audience informativa» come quella specificata sopra. E che non a caso - sempre Dello Sbarba - «Tale posizione dominante, scrive l’AGCOM citando la Corte costituzionale, “non potrebbe non comprimere la libertà di manifestazione del pensiero di tutti quegli altri soggetti che, non trovandosi a disporre delle potenzialità economiche e tecniche del primo, finirebbero con il vedere progressivamente ridotto l’ambito di esercizio delle loro libertà”».

    Veniamo ora al casus belli. A dare la notizia il 24 agosto su Salto è un articolo di Fabio Gobbato intitolato «Classi speciali per i “non tedeschi», dove al primo paragrafo, si legge quanto segue:
    «A mali estremi, estremi rimedi. La scuola Goethe di Bolzano annuncia con un certo orgoglio dalle colonne del Dolomiten (grassetto, NdA) di aver trovato il classico uovo di Colombo per risolvere l’annoso problema della presenza di bambini italiani e stranieri nelle scuole tedesche: la creazione di una “classe speciale” in cui raggruppare i bambini che non parlano sufficientemente bene il tedesco o non lo parlano affatto.»
    mentre il secondo continua così:
    «Non parliamo di una scelta futuribile ma di una decisione già operativa nell’anno scolastico che sta per cominciare. “Devo rendere possibile l'insegnamento, ma anche pensare ai bambini di madrelingua tedesca”, spiega la direttrice Christina Holzer al quotidiano Athesia. (grassetto, NdA)».

    Il pezzo, ça va sans dire, solleva un polverone. E come sempre, ovvero più o meno da ottant’anni a questa parte, si finisce nel solito tritacarne dell’etnonazionalismo: da un lato, i (molti) tradizionalisti unguibus et rostris, i protettori di un’identità sudtirolese fondata sul principio della separazione dell’altro da sé come salvaguardia dal pericolo di una «contaminazione» etichettata ancora una volta come «Todesmarsch» - irricevibile neologismo, non a caso utilizzato dal fondatore del gruppo editoriale in parola e il cui significato originario per antonomasia riguardava le marce della morte dei prigionieri dei campi di concentramento nazisti -; dall’altro, i (pochi) progressisti, per i quali la «contaminazione» non è una mescolanza forzata di elementi antinomici ma l’inevitabile evoluzione di una società multietnica verso uno status che si potrebbe definire come regolato dalla «”fraternite” nella diversità».

    A centrare però il vero punctum dolens di tutta questa vicenda ci pensa il sociologo Luca Fazzi, che nell’articolo intitolato «Dalla parte dei bambini» definisce in una sola frase la vera essenza del problema:
    «L’escalation scatenata dal giornale dei fratelli Ebner in difesa della dirigente delle scuole Goethe di Bolzano vale per quel che vale: una prova di prepotenza per definire posizioni e ruoli di potere a livello provinciale (grassetto, NdA)».

    Ecco: quella parte della debolezza della democrazia sudtirolese a cui mi riferivo in apertura dell’articolo è tutta qui, in quest’unica frase. Che riassume gli effetti di una causa – in questo caso specifico, la posizione dominante di un gruppo editoriale – in grado di permettere a quest’ultimo di possedere una forza tale da poter provare a «definire posizioni e ruoli di potere a livello provinciale». O, come si potrebbe dire con altre parole, potersi permettere di «fare politica» da una tale posizione di forza, acquisita senza passare attraverso i meccanismi elettivi che le sarebbero propri.

    Nota
    Sulla scuola in "Sudtirolo" e la scuola bilingue in particolare, ne ho scritto qui:
    Il mythos della scuola bilingue
    Dal «Je klarer wir uns trennen, desto besser verstehen wir uns» di Anton Zelger del 1978 al «doppio “no”» di Arno Kompatscher del 2023: controstoria di una leggenda

    (© Luca Marcon - tutti i diritti riservati. Gli altri articoli dell'autore sono reperibili qui)

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Simonetta Lucchi Sa., 05.10.2024 - 06:15

Io leggo il Dolomiten perché le scuole - di ogni gruppo linguistico - sono invase dal Dolomiten. Ogni tanto si trova l'Alto Adige. Il resto raramente, ma più che altro tutti questi giornali pochi li leggono. I ragazzi mi dicono che guardano solo Stol perché si trova sul cellulare, ma io Stol lo conosco pochissimo. In ogni caso c'è da chiedersi: perché così poca partecipazione al tema delle scuole Goethe da parte del mondo della scuola? Al di là che è evidentemente solo una prova di forza. Ma la scuola - che è fatta di alunni, insegnanti, direttori, intendenze scolastiche triple- è grande campo politico, oltre che, a quanto mi risulta, l'ambito provinciale in cui più rigidamente si applicano le regole di "appartenenza etnica" allo stesso personale. Ci sarebbero tanti modi di avere un po' più di democrazia e giustizia nella scuola, e di conseguenza nella società: anche solo chiedendo a scuola- o leggendo- altri giornali.

Sa., 05.10.2024 - 06:15 Permalink
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Peter Gasser Sa., 05.10.2024 - 08:52

Dieser Artikel krankt meiner Ansicht nach an 2 Dingen:

(1) Es handelt sich beim Gegenstand nicht um einen redaktionellen Meinungsartikel der “Dolomiten”, sondern um Brief und Stellungnahme der Schuldirektorin selbst, also eine Primärquelle.

(2) Der Schreiber dieses Artikels führt selbst ein Sachproblem der Schule (zu viele Kinder, welche die Unterrichtssprache nicht beherrschen, womit der Bildungsauftrag ‘unmöglich’ wird und als Lösung eine Klasse mit erhöhten Ressourcen zum Erlernen der Unterrichtssprache gebildet worden war) hinüber in die emotionale und politische Ebene eines “etnonazionalismo”.

Wenn man die ‘Feindlichkeit’ des Autors von vielen Artikeln hier auf Salto gegenüber dem Schutz der deutschen Sprache kennt und sein ‘Bedürfnis’, dem Südtiroler Leben die Mundart (Dialekt) zu nehmen, reiht sich dies meiner Ansicht nach in eine politische Perlenkette ein, deren Farbe weder glänzt noch weiss ist.

Der in der “Dolomiten” veröffentlichte Brief der Schuldirektorin erscheint in diesem Artikel damit lediglich instrumentalisiert und benutzt, fernab seiner sachlichen Rechtfertigung und seiner Kompetenz, der Schule.

Sa., 05.10.2024 - 08:52 Permalink
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Simonetta Lucchi Sa., 05.10.2024 - 09:30

Torniamo giustamente al tema: competenze e conoscenza della scuola, non inutili polemiche politiche. Ma competenze di chi in classe ci sta davvero. E i problemi sono: 1. Assenza drammatica di insegnanti con formazione adeguata; 2. Mancanza drammatica di insegnanti in lingua tedesca; 3. "Scuole ghetto" non classi , perché di fatto le scuole di lingua italiana includono e altre escludono (e di questi disagi non si parla); 4. Concorsi interni riservati su basi linguistiche e non per merito o competenze. Più facile e utile continuare a accapigliarsi su altre questioni quando il problema è un intero sistema scolastico allo stremo.
Un sistema che vuole solo "altri soldi e altre risorse" - se non sbaglio la scuola Goethe le ha avute- ma non la qualità.

Sa., 05.10.2024 - 09:30 Permalink
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Peter Gasser Sa., 05.10.2024 - 10:03

Antwort auf von Simonetta Lucchi

Bleiben wir doch bitte auf Augenhöhe (“Si smettano una volta per tutte...”????), das sei doch angebracht.
Augenhöhe im Diskurs... & höfliches Nachfragen (“bitte”) sei erlaubt.

Sie wollten also sagen, wenn ich Ihre versteckte Andeutung richtig verstehe, dass
"Scuole ghetto" non classi , perché di fatto le scuole di lingua italiana includono e [altre = le scuole di lingua tedesca] escludono...”??

.

Sie haben den Brief der Schuldirektorin Christina Holzner als Primärquelle gelesen?

Sa., 05.10.2024 - 10:03 Permalink
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Simonetta Lucchi Sa., 05.10.2024 - 12:17

Ora io vorrei finalmente uscire dalle solite polemiche e dire semplicemente: pensiamo alla qualità della scuola. Se si vogliono sempre vedere misteri dove non. ci sono ripeto: basta polemiche e pensiamo a una cosa " garantire a tutti i bambini e studenti il successo formativo" e pari opportunità. Pari opportunità e valorizzazione delle competenze vere e varie nella scuola. Non mi interessano minimamente lettere o articoli, non mi interessa promuovere l'italianità, solo vorrei vedere un contesto scolastico più sereno e più equilibrato. Peraltro mi devo scusare del termine orribile"scuole ghetto " per rispetto di chi è stato nei ghetti veramente Per il resto chi vuole capire capisce discorsi che ho più volte ripetuto anche in altri articoli (sul mio profilo)

Sa., 05.10.2024 - 12:17 Permalink