Non sembra nemmeno che la questione della clausola di intesa fosse tra quelle che iniziarono ad essere portate avanti, in quel processo che è stato definito dell'autonomia dinamica, qualche mese dopo la chiusura. Si iniziò, nell'autunno del 92, con la questione del bilinguismo nei concessionari di pubblici servizi sollevata dal senatore Karl Ferrari e si è poi proseguito con molti altri argomenti. Della questione dell'intesa si è iniziato a parlare pubblicamente in tempi molto più recenti e soprattutto in coincidenza con i tentativi di riforma costituzionale portati avanti a varie riprese, non ultimo quello varato dal Governo Renzi e miseramente naufragato sugli scogli del referendum.
Comunque sia la questione dell'intesa è materia più che scottante e lo sanno bene lo stesso Kompatscher come anche i suoi interlocutori romani. Se venisse concessa sarebbe uno stravolgimento di non poco conto in quella che, sui libri di diritto, viene chiamata la gerarchia delle fonti normative e un precedente di non poco conto anche per altre autonomie.
In attesa di sapere con quale punteggio finirà la partita, resta da ricordare che un'altra forma di intesa, diversa dal punto di vista dell'efficacia giuridica ma non meno rilevante sul piano politico governa le cose della politica altoatesina da almeno una sessantina d'anni. È un principio in base al quale nulla può essere messo in campo per quel che riguarda lo Statuto di autonomia del Trentino Alto Adige e le sue norme di attuazione che non nasca da un accordo tra chi vuole norme deve emanare, il Governo in primo luogo, e le popolazioni locali con particolare riferimento, in Alto Adige, alle minoranze.
A novembre, prima di iniziare a sfogliare il Calendario dell'Avvento sapremo se le regole del gioco cambieranno
Questo vincolo fa la sua comparsa esattamente sessant'anni fa, nel dicembre del 1964, quando, a Bolzano, la SVP rinvia al mittente, corredata da un cortese rifiuto, l'intesa sulla vertenza altoatesina raggiunta pochi giorni prima a Parigi dai due ministri degli esteri di Austria e Italia Bruno Kreisky e Giuseppe Saragat. Un colpo di scena che lascia strascichi pesanti sia a Roma ma soprattutto a Vienna, con il leader socialista che, per ritorsione, farà votare i suoi deputati, qualche anno più tardi, contro il Pacchetto. A spingere i sudtirolesi ad una simile mossa ci sono elementi di fatto dell'intesa che non condividono ma soprattutto una questione di metodo: vogliono essere loro a condurre la trattativa e non vedersi recapitare gli accordi siglati da altri. Inizia così una fase nuova e diversa che culminerà, cinque anni dopo, nel varo del nuovo Statuto concordato tra Roma e Bolzano con l'Austria che approva quanto deciso dalla Stella Alpina
È un metodo che resterà in vigore, da allora in poi, anche per tutta la fase di attuazione del Pacchetto e che trova la sua dimensione politica del concetto delle commissioni paritetiche dei sei e dei 12, che tali sono proprio perché devono realizzare una convergenza di opinioni tra il centro e la periferia. È chiaro che, e qui sta la differenza con il vincolo che verrebbe introdotto dalla clausola di intesa, il Governo non è obbligato a rispettare le intese raggiunte in commissione così come il parlamento, nel 1971, non era certo obbligato a varare la legge costituzionale. Si trattava però di un principio politico che ha funzionato, non senza contrasti e lunghe fasi di paralisi dell'attività normativa, sino ai giorni nostri. A novembre, prima di iniziare a sfogliare il Calendario dell'Avvento sapremo se le regole del gioco cambieranno. O forse no.