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“L’assegno unico? Alle donne”

Ok del Senato alla misura di sostegno con 224 sì, nessun no e 4 astenuti. Unterberger: “Si può ancora fare una scelta coraggiosa e destinare il contributo alle madri”.
Julia Unterberger
Foto: Julia Unterberger

Un sì quasi unanime quello pronunciato ieri (30 marzo) dall’Aula di Palazzo Madama al disegno di legge delega sull’assegno unico per i figli: 227 i voti a favore, nessun no e 4 astenuti.

Il provvedimento - cavallo di battaglia della ministra alle Pari opportunità Elena Bonetti - entrerà in vigore dal primo luglio e prevede che tutte le famiglie ricevano un assegno che, stando alle stime, avrà un valore che varierà tra i 50 e i 250 euro mensili, a seconda delle fasce di reddito, per ogni figlio a carico, dal settimo mese di gravidanza fino al diciottesimo anno di età. L’assegno potrà essere prolungato fino ai 21 anni dei figli, con somma ridotta e solo se questi sono iscritti all’università o a un corso professionale, sono tirocinanti, oppure svolgono il Servizio civile, o un lavoro a basso reddito, o sono registrati come disoccupati e in cerca di occupazione: in questo caso l’assegno viene accreditato direttamente ai figli che hanno compiuto 18 anni. Per i figli successivi al secondo, per le madri con meno di 21 anni e per i figli disabili ci saranno delle maggiorazioni.

La misura si applica a lavoratori dipendenti, autonomi o incapienti. Secondo una simulazione del Gruppo di lavoro Arel/Feg/Alleanza per l’infanzia risulterebbe sfavorita la prima categoria, quella dei lavoratori dipendenti: 1,35 milioni di famiglie perderebbero infatti in media 381 euro all'anno. Per colmare questa disparità occorrono 800 milioni in più oltre ai 20 miliardi già stanziati.

Si può ancora fare una scelta coraggiosa e prevedere che siano le madri le destinatarie dell’assegno, visto che sono soprattutto loro che si fanno carico del lavoro di famiglia, spesso rinunciando al proprio reddito

Su questo aspetto si è soffermata la presidente del Gruppo per le Autonomie Julia Unterberger, la quale, riconoscendo l’importanza del provvedimento in sé (“purché non si cada nell’errore di considerarlo risolutivo dei bisogni delle famiglie e del problema demografico”), ha tuttavia posto l’accento proprio sul fatto che una quota di lavoratori dipendenti rischia di ricevere meno. A questo bisogna rimediare, ha detto la senatrice Svp, “così come si può ancora fare una scelta coraggiosa e prevedere che siano le madri le destinatarie dell’assegno, visto che sono soprattutto loro che si fanno carico del lavoro di famiglia, spesso rinunciando al proprio reddito. Questo principio - prosegue - vale ancora di più per le coppie separate, seguendo il criterio del collocamento prevalente dei figli. E questo anche per evitare che a percepire la metà dell’assegno siano quei padri, e purtroppo non sono pochi, che non versano il contributo di mantenimento ai figli”.

Già prima della pandemia, ha ricordato Unterberger, i decessi superavano le nascite. “E questo per un’assenza di strumenti per conciliare lavoro-famiglia o che incentivano un’equa distribuzione del lavoro non retribuito nella famiglia tra uomo e donna. Non deve quindi stupire che le donne facciano uno sciopero delle nascite. Nel 2020 il saldo demografico ha segnato il minimo storico, con 384.000 unità in meno. Ma il calo dei residenti - conclude la parlamentare sudtirolese - è dettato non solo dal saldo tra nascita e decessi. Nello stesso anno dall’Italia sono andate via 41.000 persone, con tutti i problemi che questo comporta in termini di invecchiamento della popolazione”.