Toh, il capitalismo fa schifo
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Park Chan-wook è un autore di culto tra i più celebrati, adorato anche da queste parti come una specie di divinità per ciò che hanno rappresentato film come Joint Security Area, la trilogia della vendetta o The Handmaiden. La sua ultima opera, No Other Choice, presentata alla Mostra di Venezia 82 e pronta a planare sul grande schermo in Italia il prossimo 1° gennaio, sta piacendo a pacchi a tutti. O quasi.
Cos’è
You Man-su (Lee Byung Hun) è un dirigente di mezza età che dopo 25 anni viene licenziato di punto in bianco dalla sua azienda cartaria. Convinto che il sistema non gli lasci alternative entra in una spirale di frustrazione e paranoia accettando compromessi sempre più estremi nel tentativo disperato di riconquistare sicurezza economica e dignità sociale. Accanto a lui ci sono i due figli e la moglie Miri (Son Yejin) che cerca di mantenere un’apparente normalità familiare nonostante le crescenti difficoltà finanziarie.
Con il passare dei mesi la disoccupazione diventa un’ossessione e quando la ricerca di un nuovo impiego si prolunga senza risultati, You Man-su matura l’idea che i candidati rivali siano ostacoli da rimuovere, uno dopo l’altro. La sua morale si sbriciola lentamente e la violenza, inizialmente solo immaginata, si insinua nella quotidianità. Sopraffatto quindi dalla situazione l’uomo è spinto a credere di non avere davvero altra scelta: mors tua vita mea.
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(c) IGN Movie Trailers
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Com’è
Sul piano formale Park Chan-wook dimostra di avere al solito il controllo assoluto. La sua meticolosità chirurgica – dalla composizione dell’inquadratura ai movimenti di macchina, dall’uso del colore al comprovato talento nel giocare con gli oggetti e gli spazi – si manifesta in ogni livello della messa in scena, con soluzioni di montaggio così ingegnose da far tendere gli angoli della bocca verso il basso da quanto è bravo Park Chan-wook ma quanto.
No Other Choice è una parabola sull’alienazione moderna e sull’illusione della libertà di scelta, travestita da commedia nera. La satira sul mondo del lavoro e sul capitalismo si riduce però a una critica sociale superficiale in forma di farsa – più didascalica e dichiarata che realmente incisiva. La disoccupazione in questo contesto è un’esperienza tipicamente maschile: una crisi per gli uomini, mentre le donne sono colpite solo di riflesso. L’intreccio tra patriarcato, mascolinità tossica e una società che alimenta tutto questo è un tema centrale che non va oltre la sua rappresentazione. Il film mostra ma non scava, si limita a illustrare l’angoscia che nasce dall’ossessione per lo status, dalla progressiva automazione e dal successo arbitrario. Un’angoscia che non cresce, semplicemente si accumula.
Per quanto possiamo essere d’accordo con tutto ciò che il film dice (e lo siamo), il “problema” è il modo in cui lo dice, senza contare che impiega una vita intera per arrivare al punto. Gli manca la spudoratezza dei lavori precedenti del regista sudcoreano che qui non rischia mai davvero. Gli episodi di commedia situazionale non strappano più di qualche lieve sorriso, forse perché eccessivamente compiaciuti o perché si sforzano troppo a essere bizzarri, alla ricerca di risate facili.
Non è mai chiaro perché You Man-su sia così maniacale nel voler restare a tutti i costi uno specialista nella produzione della carta anziché optare per un lavoro più sicuro, sebbene meno appagante, da magazziniere, né perché decida di non ascoltare sua moglie e scambiare la loro villa a due piani con un appartamento. Sembra che a Park Chan-wook non interessi comprendere a fondo i suoi personaggi, né esaminare più da vicino gli orrori di questo mondo. No Other Choice si limita a osservare che il capitalismo è brutto e cattivo, ineluttabile, che fa sentire i lavoratori sostituibili e aumenta la competizione tra loro, mantenendo bassi i salari e massimizzando il profitto. Annuiamo ahinoi assertivi e il film pare accontentarsi di questo. Un po’ poco, no?
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