Kultur | in memoriam

La musica dei tempi

Ripubblichiamo un articolo di Albert Mayr che aveva regalato al sito delle Scuole di musica. "Noi non abbiamo il tempo, noi siamo nel tempo" è il suo celebre motto.
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Foto: Ulrich Egger
  • Nel tredicesimo secolo il filosofo e teorico della musica Giovanni Egidio di Zamora scrisse: “Il Dio eterno ci da i tempi dei tempi, per alleviare il fastidio degli uomini, per alleviare le fatiche degli uomini, quasi come con delle melodie consonantissime”.
    I lettori si stupiranno: ma come, l’avvicendarsi dei tempi in noi e intorno a noi avrebbe una qualità musicale? Le persone di oggi non considerano il tempo come qualcosa che allevia le loro fatiche, ma anzi come qualcosa che le crea o acuisce. Infatti di solito facciamo attenzione al tempo solo in circostanze negative: un’ importante ma noiosa scadenza, un’interruzione sgradita, la fine di un’amicizia e così via.
     

    Ma dove sono la musica della psicologia, della fisica, della sociologia della musica?


    É vero che la nostra organizzazione socio-economica e la distribuzione del potere creano problemi temporali anche pesanti a molti e molte di noi. E infatti si stanno moltiplicando le iniziative, i convegni, le pubblicazioni volte a migliorare la nostra organizzazione temporale. Vi partecipano esponenti di varie discipline, in primis delle scienze umane, con, a volte, contributi di filosofi ed esponenti delle scienze naturali. Tutte persone sicuramente di alto livello, ma che di tempo scrivono, non ci lavorano praticamente. (Sarebbe un po’ come farsi progettare una casa da uno storico dell’architettura invece che da un architetto praticante.) Infatti i veri professionisti del tempo siamo noi musicisti – non a livello filosofico o scientifico, ovviamente – ma a livello pratico-esperienziale. Ma non si trovano musicisti tra coloro che si occupano di tempo sociale. Le ragioni sono molteplici e credo che valga la pena di esaminarle.

  • Foto: Ulrich Egger
  • Il rapporto interdisciplinare tra la musica e gli altri campi del sapere è totalmente unidirezionale. Così abbiamo numerosissimi testi sulla psicologia della musica, sulla fisica, sulla sociologia della musica. Ma dove sono la musica della psicologia, della fisica, della sociologia della musica? E pensare che intorno al 600 Isidoro di Siviglia scrisse: ”Senza musica nessuna disciplina può essere perfetta. Non c’è nulla infatti che sia senza di essa.” Questo ruolo della musica era riconosciuto fino alla fine del Rinascimento (v. Keplero). Poi il pensiero occidentale decise di confinare la musica in un ambito strettamente artistico, o di intrattenimento.
     

    Perché non sperimentare un approccio sinestetico con i tempi ritmi intorno a noi?


    Questo naturalmente ha avuto ricadute sul piano socio-culturale. Mentre in generale ormai vi è una grande e ben accettata fluidità disciplinare (architetti che fanno i registi, giuristi che diventano scrittori, ecc.) i musicisti devono fare i musicisti e basta. E, duole dirlo, loro si accontentano più che volentieri di rinchiudersi nel loro orto, sicuramente bellissimo e affascinante, ma comunque limitato. Nell’insegnamento non si accenna neanche alle potenzialità interdisciplinari della musica. Certo, non è un discorso molto facile. Ma,p.es., gli studi sul paesaggio sonoro hanno motivato alcuni musicisti a contribuire con le loro capacità percettive ed analitiche riguardanti eventi sonori a delle ipotesi per un miglioramento dell’ambiente acustico.
    Similmente alcuni musicisti potrebbere essere motivati a contribuire con le loro capacità percettive e analitiche riguardanti eventi e configurazioni ritmico-temporali a delle ipotesi per un miglioramento della nostra organizzazione del tempo. I musicisti, o almeno gran parte di essi, sono abituati a lavorare con partiture, cioè la rappresentazione grafica della distribuzione di eventi nel tempo, delle loro durat e periodicità. Si obietterà che la maggior parte dei tempi e cicli biologici e sociali sono articolati in un campo frequenziale molto più basso rispetto a quello dei suoni udibili. Però non sono lontanissimi, qualche potenza di 10 in giù. E le periodicità formali nella musica classica, p.es.,fanno già parte di quel campo. Spesso mi chiedo perché le ricerche sinestetiche si ostinino a trovare parentele tra suoni e colori; questi sono collocati in un campo frequenziale lontanissimo da quello sonoro e funzionano con modalità percettive diverse da quelle operanti per i suoni. Perché non sperimentare un approccio sinestetico con i tempi ritmi intorno a noi? Come scrisse la famosa percussionista cieca Evelyn Glennie“Quando vedo un ramo muoversi nel vento dentro di me si forma un suono”. E questo si riallaccia alla citazione posta all’inizio.