Umwelt | Gastbeitrag

La bugia del Sudtirolo wolfsfrei

Il primo lupo abbattuto in Alto Adige (e in Italia) non c’entra nulla con l’abbassamento dello status di tutela. Di lupi ne restano una settantina: dov'è la prevenzione, qual è la strategia? Ecco in anteprima il parere di ISPRA.
Lupo Wolf
Foto: Usp/Ufficio caccia e pesca
  • E uno. Primo lupo abbattuto legalmente in Alto Adige. Primo lupo abbattuto legalmente in Italia.  Cosa cambia per il lupo? Niente. Cosa cambia per noi? Forse molto, forse niente. Più probabilmente niente. L’abbattimento in Val Venosta è avvenuto sulla base delle vecchie regole e quelle nuove ancora non ci sono anche se la Provincia, scorrettamente, nel suo comunicato mescola e confonde i piani. Detto altrimenti: l’abbassamento dello status di tutela della specie, con il caso venostano non c’entra nulla. Ma poco importa. L’importante, in fondo, era la catarsi. Il sangue del lupo per lavare il sangue dell’agnello. “Basta che sanguini!”, come dice l’antropologo Sergio Dalla Bernardina. Dopo quelle dell’assessore Luis Walcher a ruota arriveranno, è sicuro, quelle di molti altri secondo il rituale tipico del prêt-à-penser, del pensiero semplificato e pronto uso che nasconde i fatti. Perché i fatti sono che, là fuori, di lupi ce ne sono un’altra settantina. E che ci resteranno. E dunque: che si fa?

     

    Perché i fatti sono che, là fuori, di lupi ce ne sono un’altra settantina. E che ci resteranno. E dunque: che si fa?

     

    Al netto della balla spaziale di un Sudtirolo wolfsfrei, abbiamo una strategia, un progetto? Abbiamo le competenze, le idee? I soldi? A leggere il parere Ispra che ha dato il via libera al prelievo di malga Furgler, pare proprio di no, tanti e tali sono i rilievi messi nero su bianco. I ritardi. L’approssimazione. Il cuore della questione è che per arrivare a vendere politicamente la pelle del lupo, il Bauernbund e la SVP hanno costruito un paesaggio dell’impotenza e della paura che si è mangiato ogni spazio residuo di confronto serio sul tema della prevenzione, della razionalizzazione delle pratiche di pascolo e della professionalizzazione dei pastori che sono la vera sfida legata alla presenza di un grande carnivoro. Perché va chiarita una cosa: un lupo che a va rifornirsi in un ristorante all’aperto mal gestito non è un lupo problematico, è semplicemente un lupo. Se, ottenuto finalmente l’agognato primo scalpo, adesso si potesse iniziare a ragionare in quale cornice, in quale strategia gestionale complessiva collocare gli scalpi prossimi venturi, sarebbe già un gran bel risultato.

     

    Va chiarita una cosa: un lupo che a va rifornirsi in un ristorante all’aperto mal gestito non è un lupo problematico, è semplicemente un lupo. 

     

    Eviteremmo forse scene patetiche come quelle del Puez, cinicamente mediatizzate dal Bauernbund – come sempre, del resto – e offerte in pasto ad un sistema dell’informazione, soprattutto pubblico, pericolosamente incline ad accendere il microfono e a spegnere il cervello, forse condizionato da anni di sbudellamenti in prima pagina del giornalone di casa Athesia. Altrimenti non si spiega come a nessuno – con l’unica eccezione di un servizio della Tagesschau – sia venuto un rigurgito del genere pericoloso-giornalismo-accompagnato-da-qualche-domanda. Tipo: ma ci sono altri pastori nella zona? Hanno subito danni anche loro? E i dissuasori a ultrasuoni funzionano davvero o sono in fase sperimentale? Che tipo di recinzioni usavate? Ma le predazioni sono avvenute dentro o fuori i recinti? E il pastore dov’era? Giusto per offrire a chi ascolta, a chi legge, qualche elemento di valutazione. Magari avrebbero scoperto che, a un tiro di schioppo, sul versante badiota del Puez c’è un pastore che lavora come dio comanda e che di pecore non ne ha perse neanche una. Così, si fa per dire.

    Oggi parlare, confrontarsi, spezzare il cerchio magico dei pochi soggetti che l’hanno tenuto in ostaggio costruendone la narrazione, diventa davvero la vera questione centrale. E lo sarà sempre di più. Per questo, il lavoro che sta facendo SALTO è preziosissimo. Lo dimostra anche l’ultimo, stimolante, articolo di Markus Lobis pubblicato sulla Community. Basta non mollare.